• 22 Novembre 2024 07:32

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Assagenti Genova accende i riflettori sui pericoli ma anche sulle opportunità del Mediterraneo

Genova – I rischi che incombono sul traffico mondiale via mare, hanno una potenzialità devastante per l’assetto geopolitico del pianeta e per la capacità di innescare reazioni a catena nel campo dell’approvvigionamento di cereali, soia, riso e prodotti agroalimentari per popolazioni che non possono farne a meno, nonché nella fornitura di energia.

Questa la principale indicazione scaturita oggi da un’assemblea di Assagenti Genova che ha evidenziato una drammatica sottovalutazione delle soglie di pericolo legate alla possibile chiusura di due o più choke point, ovvero le strozzature strategiche attraverso le quali transita più dell’80% del traffico marittimo di merci, materie prime e prodotti finiti.

“Con Suez di fatto aperto solo al traffico delle navi che raggiungono Gedda e i porti della costa occidentale della penisola saudita – ha sottolineato Paolo Pessina, Presidente dell’Associazione genovese degli agenti e dei raccomandatari marittimi (ovvero di una categoria più di ogni altra a diretto contatto con le dinamiche dell’interscambio globale via mare) – anche solo un’altra crisi in stretti strategici come quello di Hormuz attraverso il quale transita il 20% del petrolio del mondo, oppure dello stretto di Malacca, vitale per i traffici da e per la Cina e per il subcontinente asiatico, l’economia mondiale rischierebbe di collassare con un salto nel vuoto per interi Paesi se non per interi continenti”.

I dati relativi alla strategicità dei choke point e alle conseguenze che un loro blocco provocherebbe, e non solo ai traffici marittimi, sono state evidenziate in uno studio che il Centro Giuseppe Bono ha elaborato per Assagenti e che è stato presentato dall’Ammiraglio Sergio Biraghi, già Capo di Stato Maggiore della Marina e profondo conoscitore dei rapporti di forza nel cosiddetto Mediterraneo allargato. Si materializzerebbe l’incubo carestia in molti Paesi africani e l’intera economia mondiale, privata di regolari flussi di energia potrebbe entrare in una fase recessiva.

Uno scenario catastrofale? No. Uno scenario frutto dell’apertura di quei vasi non comunicanti fra mondo marittimo ed economia globale, con il primo spesso considerato alla stregua di una variabile indipendente.

Dall’abstract dello studio emergono alcuni esempi:

Più dell’80% dell’interscambio commerciale viaggia via mare; ma oggi, quasi il 50 % delle aree strategiche attraverso le quali questi traffici transitano, sono considerate a rischio o per la situazione geopolitica che le riguarda o per atti concentrati di terrorismo e pirateria o, infine, per fenomeni di tipo naturale quale la siccità che ha limitato in modo determinante l’operatività nel canale di Panama.

L’analisi deve partire da un dato ai più sconosciuto: il commercio marittimo mondiale “vale” 14,2 trilioni di dollari.

Attraverso lo Stretto di Malacca, rotta preferenziale per i traffici da e per l’Estremo Oriente, l’Europa e anche la costa atlantica degli Stati Uniti, transita più del 30% del commercio mondiale, ovvero più di tre miliardi e mezzo di tonnellate di merci, prodotti e materie prime.

Si è parlato per anni di Via della Seta come del collegamento preferenziale fra Cina e Occidente (Europa ma anche una parte del continente nordamericano), ebbene questa Via della Seta è fragilissima: attraverso lo Stretto di Malacca passano merci per un valore annuale tra i 3’800 e i 4’000 miliardi, mentre da tutte le rotte senza colli di bottiglia transitano solo 1’900 miliardi di dollari. Un blocco di questo Stretto, che separa l’isola di Sumatra dalla costa occidentale della Malesia o sul Mar Cinese Meridionale – dove ci sono cinque stretti: Singapore, Malacca, Karimata, Formosa e Luzon – renderebbe obbligatorio l’allungamento delle rotte, la moltiplicazione dei ritardi nelle consegne e un aumento delle spese di trasporto, creando un effetto domino incontrollabile.

Attraverso lo Stretto di Hormuz, quello che immette nel Golfo Arabico, scorre nelle cisterne delle navi, più del 20% del traffico mondiale di petrolio.

Utilizza il Canale di Panama il 5% delle navi portacontainer operanti nel mondo. Il Canale di Panama è entrato in crisi da qualche mese. Il passaggio artificiale taglia in due l’America centrale, collega Atlantico e Pacifico e vede il transito di circa il 5% del commercio globale.

Suez, sul quale si sono accesi i riflettori internazionali nell’ultimo periodo, ospita in transito il 12% dell’interscambio mondiale, il 15% del traffico container, il 14,5% del commercio di cereali e una percentuale analoga dei fertilizzanti.

E attraverso le otto strettoie strategiche dei traffici marittimi transitano:

Tre quarti delle importazioni di mais e grano del Giappone passano attraverso il Canale di Panama.

Poco più di un terzo delle importazioni di cereali per il Medio Oriente e il Nord Africa passa attraverso gli Stretti Turchi, senza alcuna rotta marittima alternativa disponibile.

Più del 25% delle esportazioni di soia viene spedito attraverso lo Stretto di Malacca.

I paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo dipendono dai cereali provenienti dalla regione del Mar Nero che vengono trasportati attraverso i punti di strozzatura delle ferrovie/porti russi e ucraini, gli Stretti Turchi e il Canale di Suez.

Il 55% di grano, mais, riso e soia transita attraverso i 13 choke point oggi a rischio (agli 8 si sommano anche quelli relativi al Mar Nero e altre aree del Sud-est asiatico “sotto tiro”): quasi 400 milioni di tonnellate di grano sui 784 milioni di produzione mondiale e circa 390 milioni su 741 milioni di tonnellate di riso prodotto.

Ma i pericoli corrono di pari passo con le opportunità. E la grande opportunità per l’Italia si chiama Mediterraneo e recupero di una sua centralità. Con la crisi di Suez e degli approvvigionamenti di componentistica e prodotti dall’Estremo Oriente, il sogno di un massiccio reshoring, ovvero un riposizionamento di attività industriali nel bacino del Mediterraneo, sta diventando realtà.

Una chiave di lettura, questa, riproposta dal Presidente di Federagenti, Alessandro Santi, e da quello di Assagenti, Paolo Pessina; quindi ribadita come un obiettivo davvero realistico e di importanza vitale per l’Italia dal Presidente di Federacciai, Antonio Gozzi.

Questa centralità è stata confermata dal Sottocapo di Stato Maggiore della Marina Militare, Ammiraglio Berutti Bergotto e dal Vice Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto, Ammiraglio Sergio Liardo. Il primo che ha sottolineato come l’economia blu rappresenti il 25% del Pil italiano e come la nuova frontiera sia rappresentata dall’esplorazione e dallo sfruttamento dei fondali marini, sconosciuti per oltre l‘80% della loro estensione.

Ma il suggello decisivo all’urgenza di una politica del mare è stato collocato dal Ministro Nello Musumeci, che non ha esitato a sottolineare come la nuova Europa, a meno che non sottovaluti le indicazioni del voto, dovrà obbligatoriamente spostare a sud, verso il Mediterraneo, il suo asse di interesse. E in quest’ottica il Piano del Mare che l’Italia attraverso il suo Ministero si è impegnata a mettere a punto diventerà un fattore vincente.