• 24 Novembre 2024 09:12

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Unioncamere, più disuguaglianza senza aeroporti minori

Se venissero meno gli aeroporti italiani con traffico inferiore a 2 milioni di passeggeri ci sarebbe uno spostamento di ricchezza dalle aree meno sviluppate a quelle più ricche, accentuando il divario economico e sociale già fortemente esistente nel nostro Paese. Considerando l’attrattività turistica, la chiusura di questi aeroporti  metterebbe a rischio almeno parte dell’ammontare di entrate derivanti dalla spesa del turismo in arrivo, pari ad oltre 1 miliardo e 450 milioni di euro. La spesa è stimabile in oltre 500 milioni di euro per i soli aeroporti con traffico inferiore a 1 milione di passeggeri l’anno. La percentuale di turisti stranieri che utilizza l’aeroporto per accedere al nostro Paese è pari a circa il 30% medio. Ma per alcune province periferiche, come Ragusa, Trapani, Taranto, o difficilmente raggiungibili con altre modalità di trasporto, come Siena e Perugia, la quota è molto più significativa. A Trapani e Ragusa, ad esempio, supera l’80%, a Taranto il 70%, a Siena e Perugia sfiora il 50%. Sono alcuni degli spunti offerti da uno studio curato per Unioncamere da Uniontrasporti-Iccsai, presentato oggi in occasione del convegno organizzato  in collaborazione con Capo Horn. L’analisi ha alzato il livello di allerta in particolare per le scelte che l’Unione europea si appresta a compiere, scelte che minacciano la sopravvivenza della stragrande maggioranza degli aeroporti italiani, e di società di gestione che in Italia, come in gran parte dei paesi europei (nello studio è evidenziato il caso della Germania) non possono stare in equilibrio senza un aiuto pubblico. Aiuto giustificato in Italia dall’esigenza primaria spesso anche di rendere raggiungibili territori e aree del paese che per orografia e assenza di infrastrutture possono confidare solo sull’aeroporto per sviluppare economia e società civile. “Ci troviamo di fronte ad uno scenario di cambiamenti del nostro sistema aeroportuale che produrranno sensibili effetti per le imprese”, evidenzia il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello. “Per quanto sia importante considerare l’aspetto della redditività delle strutture esistenti, nel caso degli aeroporti minori l’attuale disegno europeo ed italiano rischia di essere fortemente penalizzante, in quanto trascura gli effetti prodotti dal punto di vista sociale – maggiori vincoli alla libertà economica, alla mobilità delle persone, alla ripresa occupazionale – e ambientale. Sono certo che il sistema camerale, grazie alla sua capillarità e costante interazione con le economie locali, potrà continuare a dare il proprio contributo con proposte che contemplino e mettano a fattor comune le varie esigenze dei territori, come abbiamo già avuto modo di fare in occasione della consultazione sulla proposta di Orientamenti Ue sugli aiuti di Stato agli aeroporti e alle compagnie aeree che si è tenuta a settembre 2013”. Il rischio di chiusura degli aeroporti minori a seguito della possibile introduzione a livello europeo di misure restrittive in tema di sussidi pubblici, oltre a quanto prospettato dal piano nazionale degli aeroporti, è spesso derubricato come effetto e difetto della contrapposizione dei mille campanili tipica italiana. Nella realtà, però, in Europa, circa due terzi degli aeroporti con traffico di linea gestisce volumi inferiori al milione di passeggeri l’anno: un fenomeno diffuso, quindi, e non solo italiano. In Italia, sono 23 gli aeroporti aperti al traffico commerciale che movimentano meno di un milione di passeggeri l’anno, la metà di quelli esistenti. Analoga la situazione della Germania (che ha 17 aeroporti con meno di 1 milione di passeggeri e 18 con traffico superiore) e della Spagna (22 “minori” e 24 di taglia superiore). Chiudendo in Europa gli aeroporti minori, circa 4,5 milioni di persone subirebbero aumenti dei tempi medi di viaggio per raggiungere il resto del continente di oltre il 20%. In Italia, l’azzeramento dei voli in partenza e in arrivo nelle 23 strutture con meno di 1 milione di passeggeri provocherebbe un aggravio dei costi per l’utenza stimato in 21,5 milioni di euro nell’ipotesi ottimistica che la chiusura dei collegamenti di linea su ciascuno scalo non modifichi abitudini di volo dei passeggeri ma comporti solo un aumento del percorso di viaggio. L’entrata in vigore dei nuovi indirizzi creerebbe grossi problemi di mobilità su tutto il corridoio adriatico e nelle regioni geograficamente più “periferiche”, ad esempio Calabria e Sicilia.