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Demolizioni illegali, il 2016 annus horribilis

DiGiovanni Grande

Feb 3, 2017

Undici le unità italiane demolite con pratiche non sostenibili

“L’industria navale non é capace di assicurare pratiche sostenibili di riciclaggio. L’anno passato abbiamo  assistito  non  solo  ad  un  aumento  sul  mercato  di  pratiche  di  smantellamento  pericolose  e inquinanti, ma abbiamo visto addirittura un numero record di vascelli di proprietà europea (UE) sulle spiagge dell’Asia meridionale : uno stupefacente 84% di tutti i vascelli  ‘end-of-life’ è finito in India, Pakistan, Bangladesh. I loro cantieri sulle spiagge sono ben noti, non solo per non rispettare le norme internazionali  di  protezione  ambientale,  ma  anche  per  non  rispettare  i  diritti  fondamentali  dei lavoratori  e  le  norme  del  diritto  internazionale  sul  commercio  dei  rifiuti”. È quanto denuncia Patrizia Heidegger, direttore esecutivo della ong di Bruxelless Shipbreaking Platform, in occasione della presentazione dell’elenco delle navi smantellate nel mondo nel 2016 curato dall’organizzazione.
Con ben 668 unità, l’87% di  tutta  la  stazza  lorda  smantellata globalmente, dirottata sulle spiagge asiatiche meridionali il 2016 emerge come annus horribilis. Solo il primo novembre sono morti almeno 28 operai, e più di 50 sono stati feriti  in  seguito  ad  una  esplosione  e  successivo  incendio  scoppiato  su  una  petrolifera  spiaggiata  a Gadani  in  Pakistan. Bilancio tragico cui si aggiungono il  decesso  di  22  operai  nei  cantieri  del Bangaladesh, più altri 29 lavoratori gravemente feriti, e le incertezze sugli incidenti indiani, il cui numero è probabilmente superiore ai due decessi ufficialmente registrati ad Alang.
A capeggiare la lista dei Paesi responsabili “delle peggiori pratiche di demolizione e smaltimento illegale tra tutte le nazioni aventi un’industria navale” è la Germania. I  proprietari tedeschi hanno dirottato 98 vascelli sulle spiagge dell’Asia meridionale, su un totale di 100 navi vendute per essere demolite: il 98% di tutte le navi tedesche obsolete. “E come se non bastasse,  il  40  %  è  finito  in  Bangladesh,  dove  é  noto  ci  siano  i  cantieri  con  le  peggiori  condizioni  di lavoro  e  di  smaltimento”.  Tra  gli  armatori  più  irresponsabili  :  Hansa  Mare  con  12  navi,  Alpha  Ship, F.Laeisz e Peter Doehle con 7 navi , e Dr Peters, Köning &Cie, Norddeutsche Vermöge e Rickmers con 6.  “Non  é  la  prima  volta che  gli  operai  nei  cantieri  di  demolizione  pagano  con  la  loro  vita  gli  errori commerciali  dei  proprietari  di  nave  tedeschi.  A  causa  di  numerosi  fallimenti  dovuti  a  investimenti sbagliati e ad alto rischio, gli esecutori fallimentari nominati dai tribunali vendono in tutta fretta ai siti sulle spiagge dell’Asia meridionale le navi che non apportano più profitto e il conto dell’avidità dell’industria navale viene pagato dai lavoratori e dall’ambiente”, commenta Patrizia Heidegger.
La  Grecia,  responsabile  in assoluto  del maggior numero  di  navi  vendute ai  cantieri  dell’Asia meridionale,  ha  mandato  104  navi  in  tutto.  Da  quando,  nel  2009,  Shipbreaking  Platform  ha  cominciato  a raccogliere  dati,  le  società  navali  greche  sono  sempre  state  al  top  nella  lista  dei  proprietari  che scelgono uno smantellamento antiecologico e rischioso. Appoggiati dal governo greco, continuano a rifiutare ogni responsabilità per i danni procurati agli operai e all’ambiente. A gennaio, una nave lasciata su una spiaggia del Pakistan nel dicembre del 2016 ha causato la morte di 5 lavoratori a causa di un incendio: la nave era la Gaz Fountain, di proprietà della Naftomar, con sede ad Atene.
Nel 2016 persino Maersk ha deciso di smentire la sua politica di riciclaggio, fino a quel momento progressiva: il gigante danese delle navi container  é ritornato sulle spiagge indiane, dove per le sue navi non più utilizzate viene offerto un prezzo più alto per il loro riciclaggio. Essendo una delle società più fortemente responsabili per l’enorme capacità in eccesso di navi sul mercato dell’industria dei trasporti sul mare,  Maersk  dovrà  sbarazzarsi  di  75-100  navi  nei  prossimi  anni.  “Questo nuovo atteggiamento, rivolto esclusivamente ad un aumento del profitto, non solo avvalora e legittima  il  metodo  di  smantellamento  sulle  spiagge,  ma  purtroppo  frena  anche  il  progresso ed  il rinnovamento in India che dovrebbero portare verso una nuova, migliore politica di riciclaggio, via dalle spiagge e con impianti e attrezzature più moderne e sicure”, dice Heidegger.
Come ogni anno, tra i Paesi che contribuiscono all’inquinamento del sub-continente indiano vi è l’Italia. Nel 2016, undici navi appartenenti ad armatori italiani sono state smantellate nel mondo. Gli armatori Finaval  S.p.A.  di  Navigazione,  Novamar  Limited  S.N.C. e Siremar  Compagnia Delle  Isole  S.p.A. hanno optato per le strutture di riciclaggio di Aliaga, in terra turca, a cui hanno venduto complessivamente tre navi.  Al  contrario,  le  aziende Vittorio  Bogazzi, SAIPEM e Cafiero  Mattioli  hanno  arenato  cinque imbarcazioni sulle spiagge asiatiche meridionali. Grimaldi Group, in chiara violazione del Regolamento (CE) n. 1013/2006 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 giugno 2006 relativo alle spedizioni di rifiuti, ha fatto demolire due imbarcazioni in India. Solo la nave ‘Sorrento’, appartenente al gruppo, é  stata  smantellata  in  Turchia  su  iniziativa  della  società assicuratrice. Nell’aprile 2015 la ‘Sorrento’, assicurata dalla società Norwegian Hull Club, subì infatti ingenti danni a causa di un incendio divampato a bordo al largo dell’isola di Maiorca (Spagna).
Le informazioni  raccolte  dalla  Platform  dimostrano  come  i  proprietari  continuino  a  rifiutare  ogni responsabilità, nascondendosi dietro ai ‘cash buyers’. Questi trafficanti di rottami procurano alle navi da rottamare, per il loro ultimo viaggio, una nuova bandiera di comodo, per esempio di Palau, Comora, Tuvalu e poi rivendono le navi a chi offre il prezzo migliore per l’accaio, anche se sono i cantieri peggiori. “Osservando i tipi di bandiera usati dai vascelli ‘end-of-life’, è chiaro che l’attuale legislazione basata sulla giurisdizione di bandiera non puo’ apportare modifiche sostanziali alle pratiche correnti: chi puo’ credere che una bandiera di comodo, che non rispetta nessun obbligo, o un ‘cash buyer’, che trae beneficio  dalle  peggiori  condizioni  lavorative,  vorrebbero  apportare  miglioramenti  nei  cantieri  di demolizione?”, dice Ingvild Jenssen, Direttore Politico e Fondatrice della Platform. “La  crisi  globale dello smaltimento delle imbarcazioni puo’ essere risolta solo con misure che vanno al di là della giurisdizione di bandiera. Ecco perché chiediamo all’UE che pretenda una licenza per il riciclaggio da tutti i vascelli che attraccano in un porto dell’Unione”.
Nel 2017 l’UE pubblicherà un elenco di cantieri in tutto il mondo dotati di attrezzature per il riciclaggio, che seguono standard elevati per la protezione dell’ambiente e la sicurezza dei lavoratori. Questo elenco é una novità assoluta  nel suo genere e  sarà un punto di riferimento per un riciclaggio   delle imbarcazioni  sostenibile.  La  linea  di  container  tedesca  Hapag-Lloyd  si  é  già  impegnata  per  una demolizione  non  più  sulle  spiagge  ed  ha  annunciato  che  userà  solo  impianti presenti nell’elenco dell’UE.
Comunque,  sono  necessari  incentivi  finanziari  se  si  vuole  esser  certi  che  i  proprietari irresponsabili si rivolgano ai cantieri e agli impianti approvati dall’UE. Ora si discute di un meccanismo finanziario sotto forma di‘licenza per il riciclaggio delle imbarcazioni’. I  numerosi  scandali  che  hanno  implicato  alcune  compagnie  navali  europee  sono  anche  il  motivo  al grande interesse dimostrato per il riciclaggio delle navi da variistituti finanziari: per assicurare pratiche commerciali responsabili alcuni istituti stabiliscono per le compagnie navali da loro finanziate  criteri basati sul Regolamento (UE) n. 1257/2013.