Undici le unità italiane demolite con pratiche non sostenibili
“L’industria navale non é capace di assicurare pratiche sostenibili di riciclaggio. L’anno passato abbiamo assistito non solo ad un aumento sul mercato di pratiche di smantellamento pericolose e inquinanti, ma abbiamo visto addirittura un numero record di vascelli di proprietà europea (UE) sulle spiagge dell’Asia meridionale : uno stupefacente 84% di tutti i vascelli ‘end-of-life’ è finito in India, Pakistan, Bangladesh. I loro cantieri sulle spiagge sono ben noti, non solo per non rispettare le norme internazionali di protezione ambientale, ma anche per non rispettare i diritti fondamentali dei lavoratori e le norme del diritto internazionale sul commercio dei rifiuti”. È quanto denuncia Patrizia Heidegger, direttore esecutivo della ong di Bruxelless Shipbreaking Platform, in occasione della presentazione dell’elenco delle navi smantellate nel mondo nel 2016 curato dall’organizzazione.
Con ben 668 unità, l’87% di tutta la stazza lorda smantellata globalmente, dirottata sulle spiagge asiatiche meridionali il 2016 emerge come annus horribilis. Solo il primo novembre sono morti almeno 28 operai, e più di 50 sono stati feriti in seguito ad una esplosione e successivo incendio scoppiato su una petrolifera spiaggiata a Gadani in Pakistan. Bilancio tragico cui si aggiungono il decesso di 22 operai nei cantieri del Bangaladesh, più altri 29 lavoratori gravemente feriti, e le incertezze sugli incidenti indiani, il cui numero è probabilmente superiore ai due decessi ufficialmente registrati ad Alang.
A capeggiare la lista dei Paesi responsabili “delle peggiori pratiche di demolizione e smaltimento illegale tra tutte le nazioni aventi un’industria navale” è la Germania. I proprietari tedeschi hanno dirottato 98 vascelli sulle spiagge dell’Asia meridionale, su un totale di 100 navi vendute per essere demolite: il 98% di tutte le navi tedesche obsolete. “E come se non bastasse, il 40 % è finito in Bangladesh, dove é noto ci siano i cantieri con le peggiori condizioni di lavoro e di smaltimento”. Tra gli armatori più irresponsabili : Hansa Mare con 12 navi, Alpha Ship, F.Laeisz e Peter Doehle con 7 navi , e Dr Peters, Köning &Cie, Norddeutsche Vermöge e Rickmers con 6. “Non é la prima volta che gli operai nei cantieri di demolizione pagano con la loro vita gli errori commerciali dei proprietari di nave tedeschi. A causa di numerosi fallimenti dovuti a investimenti sbagliati e ad alto rischio, gli esecutori fallimentari nominati dai tribunali vendono in tutta fretta ai siti sulle spiagge dell’Asia meridionale le navi che non apportano più profitto e il conto dell’avidità dell’industria navale viene pagato dai lavoratori e dall’ambiente”, commenta Patrizia Heidegger.
La Grecia, responsabile in assoluto del maggior numero di navi vendute ai cantieri dell’Asia meridionale, ha mandato 104 navi in tutto. Da quando, nel 2009, Shipbreaking Platform ha cominciato a raccogliere dati, le società navali greche sono sempre state al top nella lista dei proprietari che scelgono uno smantellamento antiecologico e rischioso. Appoggiati dal governo greco, continuano a rifiutare ogni responsabilità per i danni procurati agli operai e all’ambiente. A gennaio, una nave lasciata su una spiaggia del Pakistan nel dicembre del 2016 ha causato la morte di 5 lavoratori a causa di un incendio: la nave era la Gaz Fountain, di proprietà della Naftomar, con sede ad Atene.
Nel 2016 persino Maersk ha deciso di smentire la sua politica di riciclaggio, fino a quel momento progressiva: il gigante danese delle navi container é ritornato sulle spiagge indiane, dove per le sue navi non più utilizzate viene offerto un prezzo più alto per il loro riciclaggio. Essendo una delle società più fortemente responsabili per l’enorme capacità in eccesso di navi sul mercato dell’industria dei trasporti sul mare, Maersk dovrà sbarazzarsi di 75-100 navi nei prossimi anni. “Questo nuovo atteggiamento, rivolto esclusivamente ad un aumento del profitto, non solo avvalora e legittima il metodo di smantellamento sulle spiagge, ma purtroppo frena anche il progresso ed il rinnovamento in India che dovrebbero portare verso una nuova, migliore politica di riciclaggio, via dalle spiagge e con impianti e attrezzature più moderne e sicure”, dice Heidegger.
Come ogni anno, tra i Paesi che contribuiscono all’inquinamento del sub-continente indiano vi è l’Italia. Nel 2016, undici navi appartenenti ad armatori italiani sono state smantellate nel mondo. Gli armatori Finaval S.p.A. di Navigazione, Novamar Limited S.N.C. e Siremar Compagnia Delle Isole S.p.A. hanno optato per le strutture di riciclaggio di Aliaga, in terra turca, a cui hanno venduto complessivamente tre navi. Al contrario, le aziende Vittorio Bogazzi, SAIPEM e Cafiero Mattioli hanno arenato cinque imbarcazioni sulle spiagge asiatiche meridionali. Grimaldi Group, in chiara violazione del Regolamento (CE) n. 1013/2006 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 giugno 2006 relativo alle spedizioni di rifiuti, ha fatto demolire due imbarcazioni in India. Solo la nave ‘Sorrento’, appartenente al gruppo, é stata smantellata in Turchia su iniziativa della società assicuratrice. Nell’aprile 2015 la ‘Sorrento’, assicurata dalla società Norwegian Hull Club, subì infatti ingenti danni a causa di un incendio divampato a bordo al largo dell’isola di Maiorca (Spagna).
Le informazioni raccolte dalla Platform dimostrano come i proprietari continuino a rifiutare ogni responsabilità, nascondendosi dietro ai ‘cash buyers’. Questi trafficanti di rottami procurano alle navi da rottamare, per il loro ultimo viaggio, una nuova bandiera di comodo, per esempio di Palau, Comora, Tuvalu e poi rivendono le navi a chi offre il prezzo migliore per l’accaio, anche se sono i cantieri peggiori. “Osservando i tipi di bandiera usati dai vascelli ‘end-of-life’, è chiaro che l’attuale legislazione basata sulla giurisdizione di bandiera non puo’ apportare modifiche sostanziali alle pratiche correnti: chi puo’ credere che una bandiera di comodo, che non rispetta nessun obbligo, o un ‘cash buyer’, che trae beneficio dalle peggiori condizioni lavorative, vorrebbero apportare miglioramenti nei cantieri di demolizione?”, dice Ingvild Jenssen, Direttore Politico e Fondatrice della Platform. “La crisi globale dello smaltimento delle imbarcazioni puo’ essere risolta solo con misure che vanno al di là della giurisdizione di bandiera. Ecco perché chiediamo all’UE che pretenda una licenza per il riciclaggio da tutti i vascelli che attraccano in un porto dell’Unione”.
Nel 2017 l’UE pubblicherà un elenco di cantieri in tutto il mondo dotati di attrezzature per il riciclaggio, che seguono standard elevati per la protezione dell’ambiente e la sicurezza dei lavoratori. Questo elenco é una novità assoluta nel suo genere e sarà un punto di riferimento per un riciclaggio delle imbarcazioni sostenibile. La linea di container tedesca Hapag-Lloyd si é già impegnata per una demolizione non più sulle spiagge ed ha annunciato che userà solo impianti presenti nell’elenco dell’UE.
Comunque, sono necessari incentivi finanziari se si vuole esser certi che i proprietari irresponsabili si rivolgano ai cantieri e agli impianti approvati dall’UE. Ora si discute di un meccanismo finanziario sotto forma di‘licenza per il riciclaggio delle imbarcazioni’. I numerosi scandali che hanno implicato alcune compagnie navali europee sono anche il motivo al grande interesse dimostrato per il riciclaggio delle navi da variistituti finanziari: per assicurare pratiche commerciali responsabili alcuni istituti stabiliscono per le compagnie navali da loro finanziate criteri basati sul Regolamento (UE) n. 1257/2013.