• 23 Novembre 2024 01:57

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Bombe chimiche del dopoguerra affondate nel Golfo di Napoli?

Legambiente rilancia il rapporto “Brankowitz”

 

Un’area di circa 287 chilometri quadrati compresa in un tringolo immaginario tra Bagnoli, Ischia e Capri. È qui che gli americani, all’indomani della seconda guerra mondiale, potrebbero aver affondato un arsenale chimico, approfittando della profondità dei fondali.

Lo denuncia Legambiente – Coordinamento Nazionale Bonifiche Armi Chimiche nel dossier “Armi Chimiche: un’eredità ancora pericolosa” che sarà presentato domani nella Sala ex Hotel Bologna- Senato della Repubblica.

“In Italia – spiega l’associazione – sono sorti numerosi comitati cittadini per problemi legati all’inquinamento derivante dallo smaltimento delle armi chimiche, soprattutto per le operazioni avvenute nel secondo dopoguerra. Accanto ai siti più noti quali Molfetta (Ba) o il lago di Vico (Vt) o Colleferro (Fr) in cui sono state avviate indagini e studi per valutare la dimensione del problema o si sta lavorando per valutare il livello di inquinamento e avviare le attività di bonifica, ce ne sono altri, individuati da documenti militari, su cui ad oggi non sono state fatte adeguate indagini per certificarne la presenza e localizzare e quantificare il materiale presente, come il mare di fronte a Pesaro o l’area del Golfo di Napoli”.

A parlare di Napoli, in particolare, i cosiddetti rapporti “Brankowitz” ed “Aberdeen”, nuovamente secretati, dopo un periodo durante la presidenza Clinton in cui furono resi pubblici, secondo cui nel Golfo furono affondate nel 1946-47 enormi quantità di proiettili e bombe contenenti iprite, fosgene, arsenico, lewisite, cloruro e cianuro idrato: sostanze altamente tossiche e in grado tutt’oggi di rilasciare il loro carico di veleno nell’ecosistema marino e nella catena alimentare.  

Esaminando i rapporti e le carte nautiche, due docenti dell’Istituto Nautico di Forio d’Ischia e il responsabile per la Campania del Coordinamento hanno individuato, nel maggio scorso, un’area dove, presumibilmente, gli affondamenti potrebbero essere stati effettuati. “L’area in questione – spiegarono – è inscritta in un immaginario triangolo che ha per vertice Bagnoli; si è proceduto a tracciare due rotte limite: una tangente alle isole di Procida ed Ischia, e l’altra vicinissima all’isolotto di Nisida”. Secondo questa ricostruzione “le chiatte e le navi usate per la discarica degli arsenali si sono inoltrate in mare aperto all’interno di questo cono largo, dal lato di Bagnoli, circa 42-47 gradi”. Considerando le profondità del Golfo “una volta superata l’altezza del Canale di Procida si riscontrano fondali superiori a cento metri, che diventano presto di 200 metri e quindi superano i 300. Spingendosi fino alla linea immaginaria che unisce Ischia e Capri si spalancano profondità abissali: 500, 600, 700 e addirittura oltre mille metri”. Qui nella zona della Bocca Grande gli americano avrebbero trovato “un vero e proprio abisso dove può essere occultata qualsiasi cosa”.

Della questione, nel corso della scorsa edizione di Goletta Verde, furono investiti l’allora ministro della Difesa La Russa e il Comandante della Capitaneria di porto di Napoli, Ammiraglio Picone, con l’obiettivo di ottenere eventuali notizie utili “all’opera di sensibilizzazione” portata avanti dalle due associaizoni.

Opera che domani segnerà un passo importante. Nel corso dell’incontro previsto a Roma infatti si discuterà anche di “mappatura, monitoraggio e bonifica dei siti inquinanti”. Operazioni che riguardo al Golfo di Napoli prevederebbero un’area da scandagliare pari a 287 chilometri quadrati. Un’estensione grande ma, con le moderne tecnologie, non certo impossibile da esaminare.

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