di Felice Magarelli – Le profonde trasformazioni in atto nel panorama portuale italiano, riconducibili essenzialmente a fenomeni come il gigantismo navale, l’automatizzazione delle operazioni portuali, l’avanzamento dell’I.C.T. (Information and Communications Technology) e ad altri fattori contingenti, hanno inevitabilmente riguardato anche i lavoratori delle imprese ex artt. 16, 17 e 18, L. n. 84/1994.
Alla luce di tali cambiamenti, il legislatore ha dunque inteso prevedere una sorta di tutela rafforzata per gli operatori, che attraverso una ricognizione strutturale dell’organizzazione produttiva/operativa, potesse risolvere o quantomeno ridurre, le numerose e fisiologiche criticità correlate all’avvento di questi processi.
In quest’ottica, l’avvertita esigenza di una programmazione complessiva della materia (lavoro portuale), ha pertanto dato vita al cosiddetto “Piano Organico Porto” contenuto nel d.lgs. n. 232/2017, meglio noto come Correttivo Porti.
Il provvedimento in questione, affida al Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale, l’adozione del piano concernente gli addetti alle imprese sopraccitate, previa delibera del Comitato di Gestione e ascoltato il parere della Commissione Consultiva.
Il documento, di valore strategico, ha validità triennale, è sottoposto a revisione annuale ed estrinseca i propri effetti in tema di analisi dei fabbisogni lavorativi, non producendo inoltre alcun vincolo per i soggetti titolari di autorizzazioni e concessioni, ad eccezione dei relativi progetti di impresa e di traffico.
Il vertice dell’ente portuale, sentito il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e l’Agenzia nazionale per le Politiche Attive del Lavoro, può adottare questo piano di intervento, finalizzato sostanzialmente alla formazione professionale per la riqualificazione, la riconversione o la ricollocazione della forza lavoro.
A mio parere, si tratta di uno strumento assolutamente importante, in quanto oltre a ripristinare la centralità dell’uomo, consente altresì di assicurare maggiori tutele ad una categoria (lavoratori portuali), che malgrado la presenza sempre più ingombrante rappresentata dall’evoluzione tecnologica, risulta essere insostituibile per lo svolgimento delle attività portuali e il buon funzionamento di un settore nevralgico per l’economia del nostro Paese.