• 25 Novembre 2024 00:28

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Rifiuti tossici. Rotta africana da Napoli e Salerno

Dagli scali della Campania materiali pericolosi verso Ghana e Burkina Faso

 

Non solo le ormai celebri navi-portarifiuti che fanno la spola tra Napoli e l’Olanda. Ma anche container diretti illegalmente alla volta dei Paesi in via di sviluppo, dove i loro carichi di materiali pericolosi saranno smaltiti a basso costo.

Il business internazionale dei rifiuti tossici è fiorente e vede sempre più negli scali della Campania un punto di riferimento preferenziale verso l’Africa. Il primo step, l’imbarco, di un complicato iter fatto di triangolazioni tra Paesi e falsificazioni di documenti che arrivano a contare sei, sette passaggi per carico.    

Un affare conveniente (secondo stime della Guardia di Finanza lo smaltimento illegale permette un abbattimento dei costi fino al 90%) testimoniato anche dalle recenti operazioni messe a segno nei due principali porti regionali.

In questo scorcio di marzo, infatti, l’Ufficio Antifrode della Dogana 1 di Napoli è riuscito chiudere due importanti operazioni che hanno portato al sequestro di 23.940 kg di rifiuti destinati in Burkina Faso, costituiti da pneumatici non più idonei al riutilizzo, un motore non bonificato e altra merce non dichiarata, e 9.840 Kg di parti di ciclomotori, motocicli e auto che avrebbero preso la via del Ghana.

Circa 34 tonnellate di materiali che nella composizione rispettano una perversa divisione internazionale del lavoro che vede i Paesi africani meta preferita per auto rottamate e materiali ferrosi, insieme a sostanze non riciclabili.

Come le 267 batterie per autoveicoli usate al piombo e i motori contenenti clorofluorocarburi scoperti e sequestrati nel porto commerciale di Salerno dai funzionari dell’Agenzia delle Dogane e dagli uomini della Guardia di Finanza. Quasi 3.500 kg di rifiuti speciali diretti, anche qui, in Ghana individuati attraverso l’esame documentale svolto dall’ufficio integrato di analisi dei rischi, su documenti che riportavano quale causale dell’esportazione il “reimpiego della merce in altri cicli produttivi”.

Il controllo, attuato in collaborazione con tecnici ispettori dell’ARPAC di Salerno, ha consentito di appurare che i beni destinati all’esportazione, di proprietà di un cittadino ghanese, residente in Liguria, non sarebbero mai stati reimpiegati.

Un esempio-tipo, solo uno dei tanti, della battaglia quotidiana che si combatte, non solo a Napoli e Salerno, ma anche a Genova, Venezia, Gioia Tauro e Taranto. È proprio in questi porti – stando alle 31 inchieste effettuate negli ultimi 10 anni – che si concentra il traffico illecito di sostanze pericolose in partenza dall’Italia. Con emergenze, denunciate recentemente da un dossier dell’Istituto Interregionale delle Nazioni Unite per la Ricerca sul Crimine e la Giustizia (Unicri), Consorzio Polieco e Legambiente, impreviste.

A fronte degli indubbi successi ottenuti negli ultimi tempi nella repressione del fenomeno, anche grazie all’introduzione del “delitto di attività organizzata di traffico illecito di rifiuti” (art. 260 del D. Lgs. 152/2006), si va profilando una serie di problemi legati alla gestione delle aree portuali.

Una volta sottoposti a provvedimento giudiziario – spiega il dossier –  i container di norma rimangono fermi nelle banchine sine die: alle volte perché materiale probatorio per le procure, altre a causa dell’inazione delle Provincie o delle Regioni che diventano automaticamente responsabili dei carichi e, semplicemente, non se ne prendono cura.  Una situazione – sottolinea il documento  –  che “sta trasformando di fatto molti dei nostri porti in discariche di cassoni di rifiuti accatastati uno sull’altro, anche pericolosi. È evidente che occorre varare un nuovo provvedimento normativo per risolvere questi problemi e rendere più efficace, anche dal punto di vista della sostenibilità economica e della sicurezza ambientale, lo strumento, fondamentale, dei sequestri”.

G.Grande

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