L’Osservatorio di Ebnt chiarisce alcuni equivoci
La corsa ad accaparrarsi un traffico crocieristico dalla crescita apparentemente inarrestabile ha accomunato nell’ultimo decennio Autorità portuali grandi e piccole. Trascurando vocazioni territoriali ed economiche radicate, ma non di altrettanto appeal mediatico – le Ap, non bisogna dimenticarlo, si occupano anche di promozione e poter vantare svariate decine di migliaia di visite è un biglietto da visita facilmente spendibile – molti scali cullano il sogno del traffico turistico. Avanzando progetti, candidature, ridefinendo ruoli consolidati (un solo esempio, Salerno, dove il presidente Annunziata, a fronte di meno di 200 mila presenze annuali, ha proposto la costruzione di una seconda banchina dedicata).
A pochi giorni dal Seatrade di Miami (la più importante kermesse del settore), con la mirabolante comunicazione istituzionale incentrata puntualmente sulla ricchezza portata dai milioni di crocieristi in giro per la penisola, l’Ente Bilaterale Nazionale del Turismo ha cercato di mettere ordine tra la valanga delle cifre. E di fare chiarezza, tramite l’Osservatorio annuale giunto alla terza edizione, sulla reale portata di un settore la cui scala di misurazione (passeggeri, investimenti in nuove navi, numero di attracchi negli scali) porta spesso alla “sopravvalutazione” dei dati.
Ricordando proprio come l’Italia sia “il più importante paese europeo e mediterraneo per quanto riguarda il traffico di navi, il numero di attracchi, i passeggeri trasportati (+ 17% rispetto al 2010)” lo studio spiega innanzitutto che i danni dovuti alla tragedia del Giglio e, in tono minore, all’incendio delle Maldive, dovrebbero essere limitati al di sotto dell’1%.
Ciò non toglie, però, che la ricaduta sul sistema economico italiano rimanga “ancora molto limitata”. Molteplici, infatti, le implicazioni da tenere in conto che la comunicazione delle Ap sommerge, abitualmente, sotto una messe di cifre che sottolineano un solo concetto: crescita a una o due cifre.
Sull’economia in generale – rileva invece l’Osservatorio – contano le filiere lunghe che coinvolgono dalla cantieristica, al trasporto locale, ai rifornimenti, al personale imbarcato; e, su scala locale, “quello che importa davvero è l’impatto positivo sulle città portuali e sul loro territorio, che altrimenti rischiano di conoscere solo i problemi derivanti da un traffico così imponente”.
“Quello che davvero conta per il turismo del nostro Paese è il giro di affari che si genera a terra: sono gli ospiti delle imprese ricettive, lo shopping che si fa nei negozi intorno ai porti, i clienti dei pubblici esercizi, la quota di business che le crociere generano nelle agenzie di viaggio e nei tour operator italiani”, evidenzia il Presidente di Ebnt, Alfredo Zini. “E questo dato è ancora ridottissimo”.
Gli fa eco il Vice Presidente Lucia Anile: “al centro del nostro interesse, che a ben vedere è un interesse strategico nazionale, sta la capacità dell’industria crocieristica di generare reddito in Italia, facendo crescere l’occupazione in tutte le branche dell’economia coinvolte, e producendo un modello di sviluppo stabile e qualificante per i lavoratori, le imprese, i territori. A questo stiamo lavorando con il nostro Osservatorio, senza fermarci alle apparenze, più o meno esaltanti”.
GG