Una ricerca del team del Dipartimento di Management dell’Università di Torino, guidato da Paolo Biancone e Silvana Secinaro, evidenzia la scarsa attrattività del nostro Paese sulle ricche rotte del turismo islamico, mette in luce l’importanza della gestione della diversità in ambito turistico e le potenzialità del settore, con ricadute sul comparto Food & Beverage cui ha dedicato un’indagine su un campione di 120 imprese.
Torino, 7 ottobre 2021 – Il mercato del turismo islamico ante pandemia vale circa 220 miliardi di dollari (Global Muslim Travel Index) e potrà rapidamente raddoppiare grazie all’incremento demografico della popolazione musulmana e al suo crescente reddito. I viaggiatori islamici infatti, nel 2000 erano 25 milioni, nel 2020 sono saliti a 158 milioni e si prevede che nel 2026 il valore dei loro spostamenti toccherà quota 300 miliardi di dollari. Uno scenario dal quale l’Italia è quasi del tutto esclusa: è la rilevazione del team di lavoro del Dipartimento di Management dell’Università di Torino, guidato da Paolo Biancone e Silvana Secinaro, che recentemente ha anche messo a confronto 120 imprese italiane del Food & Beverage, 60 con certificazione Halal e 60 senza. I temi saranno al centro del TIEF, Turin Islamic Economic Forum, che Torino ospita dal 13 al 15 ottobre.
L’Italia vanta circa 58,3 milioni di turisti l’anno provenienti da tutto il mondo. «Un Paese come il nostro, ricco di luoghi e monumenti che raccontano secoli di incontro e fusione fra la cultura occidentale e quella musulmana, dovrebbe essere tra le prime mete del turismo Halal – commenta il professor Paolo Biancone –. Invece manca un approccio complessivo in grado di creare una estesa rete di accoglienza che tenga conto delle peculiarità di un turismo che ha sì esigenze particolari, ma che è di norma alto spendente e qualificato».
Un percorso che è reso più semplice dall’attività di studio e divulgazione del Dipartimento di Management dell’Università di Torino: «Vogliamo essere di supporto alla crescita economica delle nostre aziende facilitando il confronto culturale su temi economici cruciali per il nostro futuro, e aiutando la creazione di “islamic windows”, società in grado di offrire sia in Europa che nei paesi islamici servizi conformi alle prescrizioni del Corano».
Nel mercato turistico internazionale Halal, la capacità competitiva dell’Italia è al di sotto delle potenzialità, al punto che il nostro Paese non compare neanche fra le prime dieci destinazioni internazionali nel Global Muslim Travel Index, posizionandosi molto al di sotto di Germania e Francia, i Paesi europei che più si sono dati da fare per intercettare questo importante flusso di turisti, con le ricadute economiche positive che comporta. «Per l’Italia l’accoglienza Halal è prima di tutto una sfida culturale e di comprensione delle sue grandi opportunità, soprattutto nel periodo di rilancio post-Covid – spiega Biancone –. In questo scenario il cibo “certificato Halal” si pone come elemento chiave per l’attrazione di turisti big spender dei Paesi del Golfo, un’area in cui abbiamo rilevato che a livello mondiale il settore del Food & Beverage halal nel 2019 ha raggiunto un valore pari a 1,4 miliardi di dollari con continui tassi di crescita anno su anno».
«La connessione tra cibo, spiritualità e turismo è profonda e negli ultimi decenni ha creato un’ampia domanda di mercato per i prodotti Halal che per le aziende dei settori Food and Beverage sono divenuti stimolo di innovazione e crescita – racconta ancora il professore –. Abbiamo infatti messo analizzato 120 imprese italiane del Food & Beverage: 60 con certificazione Halal e 60 senza. È emerso che la certificazione ha dato alle aziende un vantaggio decisivo aumentando la loro attenzione ambientale e sociale e stimolandole a una maggiore trasparenza sui propri dati economici».
E proprio il cibo è leva di attrazione turistica e costituisce uno dei pilastri delle buone pratiche da seguire per attirare il turismo Halal-friendly. Pratiche che il Dipartimento di Management ha sintetizzato in 10 punti, dove sottolinea l’importanza di piatti Halal nei menù dei ristoranti interni, «che non significa offrire cibo “etnico” – chiarisce il team del Dipartimento –, non solo perché i Paesi di Provenienza dei turisti musulmani sono i più disparati e con tradizioni culinarie diverse, ma soprattutto perché il turista viene in Italia per vivere un’esperienza con il cibo italiano, rinomato nel mondo. Dunque, bisogna proporre una cucina italiana adeguata ai canoni islamici».
Il turismo Halal è uno degli argomenti cruciali del TIEF, unico forum di finanza islamica nel mondo organizzato da un ente locale che, in partnership con Camera di commercio, Università, e un Ente di ricerca ha l’obiettivo di favorire iniziative ed eventi legati alla finanza islamica per l’integrazione e lo sviluppo economico e sociale del territorio locale e regionale. «Per l’occasione abbiamo messo a punto un decalogo che può essere d’aiuto per guidare il cambiamento che include anche: assenza di alcolici nei minibar, Corano nelle camere, indicazione delle sale preghiera più vicine, presenza di linee di cosmesi senza alcol o derivati, personale che parla arabo. Ma tutto ciò deve essere fatto in maniera sistemica, attivando reti ricettive che comprendano tour operator, hotel, ristoranti e anche le linee aree che servono l’Italia».