Centrati gli obiettivi di Kyoto. Due ricerche indicano la strada per il 2030
Effetti paradossali della crisi economica. Le emissioni di gas serra fra il 2008 e il 2012 sono diminuite in media del 7% rispetto al 1990 superando l’obiettivo (6,5%) fissato per il nostro Paese dal protocollo di Kyoto. Un segnale positivo su cui ha influito la drammatica contrazione delle attività industriali. “Ma la tendenza alla riduzione – spiega il ministro dell’Ambiente Corrado Clini alla presentazione del “Dossier Kyoto” diffuso dalla Fondazione per lo Sviluppo sostenibile di Edo Ronchi – era già emersa chiaramente in precedenza”.
Secondo lo studio la media di emissioni annue italiane negli ultimi 5 anni si è attestata a 480 milioni di tonnellate (a fronte di un limite di 483 imposto dal protocollo) testimoniando “una trasformazione culturale e tecnologica dei sistemi produttivi ma anche degli stili di vita”. “La riduzione del carico per l’ambiente delle attività civili e produttive – conferma Clini – è diventata una filosofia di sviluppo socio-economico che sta pervadendo con un virtuoso effetto domino tutta la società diventando “valore”, non solo etico ma anche economico e commerciale”.
I prossimi obiettivi di riduzione fissati dalla road map europea sono fissati a 440 milioni di tonnellate di CO2 nel 2020 e a 370 nel 2030. In che modo raggiungerli? Nel settore dei trasporti, che determinano il 33% dei consumi finali di energia e rappresentano la seconda voce di spesa al consumo delle famiglie italiane, puntando innanzitutto su “trasferimento modale” e tecnologia “green”. Almeno stando a due recentissime ricerche sviluppate con la collaborazione dell’Ambiente rispettivamente con Autorità portuale di Triste e Alpe Adria e con la stessa Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile.
“Il trasporto merci in Italia” e “Verso un piano nazionale di riduzione della Co2 dei trasporti” partono da un assunto preciso: il nostro Paese è il fanalino di coda dell’Ue negli indicatori di modalità sostenibile. Le merci, ad esempio, viaggiano al 94% su camion e appena per il 6% in ferrovia. Se si sommassero tutte le forme di trasporto alternative all’asfalto, cioè la ferrovia più il cabotaggio sui mercantili più le idrovie, l’insieme rappresenterebbe un modesto 13% degli spostamenti delle merci.
Prendendo in considerazione 53 terminali intermodali presenti in Italia, lo studio di Ap di Trieste e Alpe Adria evidenzia che “se fosse invertito il rapporto fra strada e ferrovia si potrebbe conseguire un notevole abbattimento dei costi esterni che gravano sull’ambiente, fino al 57% dell’ammontare complessivo sviluppato dal trasporto su strada, con un risparmio stimabile attorno ai 3 miliardi di euro l’anno”. Ma come agire? Adoperando le infrastrutture intermodali già presenti (individuati cinque assi che si sviluppano nei due sensi, attraverso la Pianura Padana e, da Nord a Sud lungo le due dorsali, Centro-Tirrenica ed Adriatica) per spostare le merci sui carri ferroviari e sulle vie d’acqua. “Sfruttando al massimo il patrimonio dei terminali disseminati su tutto il territorio nazionale, infatti, si raggiungerebbe anche l’obiettivo fondamentale di favorire le imprese ferroviarie e gli operatori logistici, che avrebbero così l’occasione di proporre servizi e offerte commerciali adeguate, sostenibili e competitive. In questo modo si instaurerebbe una collaborazione costruttiva tra le aziende e il comparto dell’autotrasporto, che non potrà non condividere questa strategia di reciproco vantaggio”.
Sulle possibilità delle nuove tecnologie ambientali (e su proposte complessive riguardanti la mobilità urbana sostenibile, veicoli a basse emissioni, infrastrutture digitali e telelavoro, trasporto ferroviario, biocarburanti e trasporto marittimo) punta la fondazione guidata da Ronchi. “La nostra ricerca – dice – documenta che più del 70% delle emissioni di CO2 prodotte dal settore trasporti si riferisce a spostamenti per distanze inferiori ai 50km, relativi quindi ad una dimensione urbana. È lì che si può agire ottenendo il miglior rapporto costi/benefici e sfruttare al meglio il potenziale di riduzione della C02 di ogni euro investito”. La ricerca osserva che se si raggiungesse in tutta Italia la proporzione tra trasporto pubblico e privato che c’è oggi in Liguria negli spostamenti entro i 20 chilometri (64,7% auto-36,3% trasporto pubblico) sarebbe possibile ridurre le emissioni di CO2 di 2,6 Mt nel 2020 e di 4,8 Mt nel 2030. Il documento, oltre a registrare il sorpasso delle vendite di biciclette rispetto alle auto che si è verificato in Italia nel 2012, esamina anche gli scenari di sviluppo dei nuovi modelli di auto elettriche, ibride e a gas, l’auspicata crescita del trasporto ferroviario, soprattutto per le merci e nelle aree urbane, lo sviluppo del trasporto marittimo e quello dei biocarburanti di seconda generazione. “Si tratta di potenziali importanti, che vanno oltre gli impegni e le indicazioni della stessa Unione europea e che potrebbero portare l’Italia a livelli di qualità ambientale dei trasporti comparabili con la Francia e la Germania”.
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