NGO presenta il report annuale 2012
Sono almeno 838 – il 68% del totale delle navi dismesse – le unità contenenti materiali tossici demolite sulle spiagge di India, Bangladesh e Pakistan in dispregio delle condizioni minime di protezione per gli operai e l’ambiente. Di queste 365 appartengono ad armatori europei. E’ il picco “senza precedenti” registrato nel 2012 da NGO Shipbreaking Platform, l’organizzazione nata Bruxelles nel 2005 che riunisce 18 associazioni internazionali per la difesa dell’ambiente e dei diritti umani.
A favorire la grandezza dei numeri la crisi finanziaria e l’eccesso di capacità di stiva che ha fatto crollare i noli: una combinazione che rende in molti casi conveniente la demolizione all’inattività delle navi. “Con scelte prese da armatori, banche e gestori di fondi – denuncia NGO nel suo report annuale – indifferenti alle conseguenze per i lavoratori, le comunità locali e l’ambiente”.
Le cifre d’altra parte parlano chiaro. Solo il 2% del naviglio dismesso nel 2012 è stato “trattato” nei cantieri europei, dove vigono regole più stringenti. Cinque, invece, i Paesi che monopolizzano il restante tonnellaggio: India (488 navi), Bangladesh (229), Cina (205), Turchia (151), Pakistan (121). E’ qui che gli armatori europei hanno preferito demolire le proprie navi: in particolare i greci (167 unità), tedeschi (48), britannici (30) e italiani (27). “Nonostante gli accordi internazionali molti armatori – spiega il direttore di NGO, Patrizia Heidegger – non puntano a un riciclaggio delle navi sicuro e pulito. Molti si giustificano scaricando le responsabilità sui cantieri che acquisiscono le unità”.
Sulla questione, recentemente, il Parlamento europeo ha bocciato la proposta di un fondo per sostenere economicamente le attività di demolizione, smantellamento e riciclaggio delle navi in grado di garantire alti standard ambientali e di sicurezza. “Comprendiamo la necessità di creare un incentivo affinché gli armatori optino per un riciclaggio sostenibile – ha spiegato Patrick Verhoeven, segretario generale dell’Espo – ma gli effetti collaterali della tassa sulla competitività dei porti dell’Unione Europea sarebbero stati molto negativi in termini di perdita di traffico, di cambiamento della programmazione degli scali delle navi e di trasferimento modale, per non parlare della burocrazia che ciò avrebbe comportato”. Spetterà alla Commissione europea proporre nel 2015 un sistema di incentivazione considerato congruo.