Bufera sull’associazione guidata da Nerli
È la crisi della rappresentatività uno dei mali della democrazia italiana. Dalla politica al sindacato, alle istituzioni è un continuo interrogarsi su chi rappresenta chi (e in che modo) rispetto all’obiettivo comune del bene pubblico. Non sfugge a questo paradigma nemmeno il mondo dei porti. Le ultime notizie su Assoporti, anzi, ne rappresentano l’emblema.
I fatti, in breve. Sette Autorità portuali (Ancona, Augusta, Cagliari, Civitavecchia, Napoli, Olbia, Taranto) avrebbero comunicato al presidente Nerli l’intenzione di sganciarsi. Un colpo durissimo per l’associazione che raccoglie gli scali della penisola, specie dopo l’uscita di Trieste e la posizione aspramente critica assunta già otto mesi fa da Ancona, Napoli, Olbia e Civitavecchia. L’annuncio della fine per un soggetto già indebolito dall’indifferenza nemmeno tanto celata da parte del governo precedente.
In realtà la decisione dello strappo, dovuto a “troppa burocrazia” e (parolina magica) “scarsa rappresentatività”, non sarebbe ancora definitiva. Da Ancona, Luciano Canepa, unico presidente ribelle a pronunciarsi, ha fatto sapere che si tratterebbe di “una questione interna all’Assoporti” di cui discutere direttamente con Nerli.
Motivazione alquanto vaga che, aggiunta al mutismo degli altri protagonisti, autorizza qualsiasi interpretazione. Compresa quella di un pronto ritorno all’ovile (in cambio di uno strapuntino); o dell’inizio delle grandi manovre per la successione all’ex senatore del Pd, il cui mandato scadrà a metà 2012.
Non sfugge infatti che, in un modo o nell’altro, le Autorità portuali propense alla scissione siano presiedute da uomini vicini al centrodestra. Il che getterebbe una chiara luce sulla manovra degli otto dissidenti: dare uno scossone all’uomo che, accusato di una serie di forzature alle regole di Assoporti – presidenza senza guida di un’autorità portuale; allungamento del mandato oltre i due anni previsti – ha rappresentato la lunga egemonia del centrosinistra sulla portualità italiana.
Come che sia resta la grave crisi in cui versa l’organo di rappresentanza istituzionale dei porti, i quali, complice il difficile momento, sempre più avanzano in ordine sparso. Con il rischio che i motivi di attrito (le polemiche tra Genova e Gioia Tauro sul finanziamento al transhipment, quelle tra il sistema ligure e il nord – est per la piattaforma unicredit sono solo alcuni esempi) aumentino in modo esponenziale paralizzando un serio dibattito sul futuro.
Un pericolo che la portualità italiana non può permettersi di correre. Con o senza Assoporti.