La Turchia, in attesa di entrare nell’Ue, progetta un secondo canale da 45 Km
L’Unione europea sta studiando la possibilità di creare un network ferroviario per collegare i porti marittimi e fluviali del nord est della Grecia e la Bulgaria e bypassare il congestionamento dello Stretto del Bosforo. L’obiettivo è la creazione di un corridoio multimodale in grado di servire l’area compresa tra il Mar Egeo, il Mar Nero e il Danubio. Sea2Sea, questo il nome del progetto, sarà finanziato con 750 mila euro del Ten-T Programme e stabilirà, entro il 2014, se è possibile creare un percorso “alternativo” per collegare i mercati dell’Europa orientale.
L’iniziativa giunge contemporaneamente al rilancio del progetto “magnifico e folle” annunciato due anni fa da Recep Tayyip Erdogan per la costruzione di un secondo canale sulla sponda europea di Instanbul. E racconta di una diversa capacità (e possibilità) di guardare al futuro, indipendentemente dalla qualità dei due progetti in questione. Da una parte un continente in crisi d’identità, sempre in bilico sulle ragioni di un ingresso turco nell’Unione, e a corto di risorse (periodicamente si discute di un ridimensionamento dei finanziamenti per le reti Ten-T); dall’altro un Paese che, in virtù dei ritmi di crescita più alti nel bacino del Mediterraneo (tra il 6 e il 9% nell’ultimo decennio), punta a diventare, in breve, la decima economia mondiale (attualmente è diciassettesima).
L’opera “non paragonabile nemmeno con i canali di Panama e Suez”, come ha affermato il premier turco annunciando il probabile avvio dei lavori entro aprile, sarà lunga 45 chilometri, larga 150 metri e profonda 25. Permettendo il trasferimento del traffico militare e commerciale (143 milioni di tonnellate di gas e petrolio, 3 milioni di tonnellate di prodotti chimici) tra il Mar Nero e il Mar di Marmara il nuovo passaggio renderebbe possibile il recupero ambientale dello Stretto e una rimodulazione del traffico marittimo incentrato su pesca e passeggeri.
La leadership della mezzaluna vorrebbe che l’opera fosse pronta entro il 2023, per celebrare degnamente il centenario della repubblica fondata da Mustafa Kemal Ataturk sulle rovine dell’impero ottomano. Una data fatidica da onorare anche con la costruzione della “più grande moschea del mondo” e di un terzo aeroporto da 100 milioni di passeggeri.
Al fine di reperire le risorse necessarie ai suoi ambiziosi piani la Turchia ha già avviato dal 2006 una serie di azioni (incentivi fiscali, abolizione della doppia tassazione, esenzione dei dazi doganali) per favorire l’attrazione di investimenti esteri attraverso la costituzione di joint venture in settori ritenuti strategici come la grande infrastrutturazione. Proprio qui l’Italia gioca un ruolo non secondario con la presenza in consorzi italo – turchi di Astaldi (costruzione del terzo ponte sul Bosforo e sul Corno d’oro, 149 milioni di dollari) e Salini (linea ferroviaria Instanbul – Ankara, 147 milioni di euro). I rapporti bilaterali, d’altronde, sono buoni. Secondo SRM – Studi e Ricerche per il Mezzogiorno in ambito mediterraneo la Turchia rappresenta il primo partner commerciale dell’Europa, con scambi pari a 15,6 miliardi di euro. Pur figurando solo al 5° posto tra i paesi “fornitori” e al quarto tra i paesi “clienti” il valore stimato del business delle circa 900 imprese italiane che operano nel Paese raggiunge oltre 16,6 miliardi per un impatto occupazionale di 125 mila addetti. Spicca in questo quadro il primato tricolore in termini di merci trasportate in Short Sea Shipping nel solo Mar Nero con 41,3 milioni di tonnellate (34% del totale). Un successo cui ha contribuito in modo significativo l’utilizzo dell’ecobonus, l’incentivo introdotto nella finanziaria 2008 per agevolare la scelta del vettore marittimo da parte degli autotrasportatori, in alternativa al “tutto strada”. Lo stesso meccanismo, i cui finanziamenti sono bloccati da un’indagine europea per presunti “aiuti di stato”.