Crollo degli investimenti in opere pubbliche: -35% in 20 anni
Un declino inarrestabile degli investimenti in infrastrutture che ci ha gradualmente separato dal resto d’Europa e la consapevolezza di dover riguadagnare il terreno perso. Sono i due poli della ricerca “Tornare a desiderare le infrastrutture. Trasformazione del territorio e consenso sociale” presentata dal Censis presso la Sala dei Presidenti del Senato con la partecipazione di Giuseppe De Rita e Giuseppe Roma, Presidente e Direttore Generale del Censis, Stefano Parisi, Presidente di Confindustria Digitale, Giovanni Castellucci, Amministratore Delegato di Autostrade per l’Italia, Mauro Moretti, Amministratore Delegato di Ferrovie dello Stato, Ennio Cascetta, Docente di Pianificazione dei Sistemi di Trasporto dell’Università Federico II di Napoli, Mario Lupo, Presidente dell’Agi, e Graziano Delrio, Presidente dell’Anci.
Il declino inarrestabile degli investimenti in infrastrutture. Negli ultimi vent’anni, dal 1990 al 2010, in Italia gli investimenti in opere pubbliche sono diminuiti fino agli attuali 29 miliardi di euro, con una contrazione in termini reali del 35%, a fronte di un aumento del Pil nello stesso periodo del 21,9%. La tesi corrente attribuisce il crollo degli investimenti pubblici alle indagini giudiziarie di Tangentopoli, che certamente hanno rappresentato uno shock per i principali protagonisti dei processi di realizzazione delle opere. Tuttavia, da quel 1992 si è andata esasperando la competizione per catturare risorse finanziarie pubbliche. La spesa per prestazioni sociali è così arrivata a 442,6 miliardi di euro, aumentando nello stesso periodo 1990-2010 del 397,4%. La società ha scelto di riappropriarsi individualmente delle risorse disponibili, per difendere pensioni, sanità, assistenza e ogni altro tipo di trasferimento diretto all’individuo, rinunciando al miglioramento dei beni collettivi, di cui le infrastrutture costituiscono la parte più importante e costosa. E c’è da aggiungere l’impatto dei cambiamenti demografici, in particolare gli effetti della longevità, che, pur costituendo di per sé un meccanismo positivo, finisce per indebolire la spinta a traguardare obiettivi a medio termine come il miglioramento infrastrutturale. La popolazione anziana, con 65 anni e oltre, è arrivata a contare 12,3 milioni di persone, passando dal 15,1% al 20,3% del totale.
Il divario crescente con il resto dell’Europa. Nel frattempo, gli altri grandi Paesi europei hanno investito in infrastrutture. Dal 1990 la rete autostradale (a pedaggio e non) è cresciuta in Italia del 7%, nel Regno Unito dell’11,9%, in Germania del 16,5%, in Francia del 61,8%, in Spagna del 171,6%. Vent’anni fa eravamo al secondo posto in Europa per le ferrovie veloci, dopo la Francia, ora siamo all’ultimo posto fra i grandi Paesi: dal 1990 da noi sono stati realizzati 699 km, in Francia (che partiva già da 710 km) altri 1.186, in Germania 1.195 km in più, in Spagna (che partiva da 0) 2.056 km. Anche in campo infrastrutturale, in Italia ha vinto il soggettivismo. Una posizione di vertice possiamo rivendicarla infatti nella maggiore densità automobilistica. Con 605 auto ogni mille abitanti superiamo la pur dotata Germania del 18,6% (sarebbe uno spread a nostro favore di ben 1.860 punti base), del 21% la Francia, del 26,6% la Spagna e del 28,7% il Regno Unito. Alla carenza di adeguate infrastrutture aeroportuali, inoltre, può essere attribuito anche il divario esistente nell’ambito del trasporto aereo. Il pur accresciuto numero di passeggeri trasportati in Italia, oggi pari a 183 ogni 100 abitanti, è inferiore al dato della Francia (194 passeggeri per 100 residenti), della Germania (207), del Regno Unito (310) e della Spagna (334). E siamo il Paese anche con meno aeromobili in servizio: 273 rispetto ai 337 della Spagna, i 441 della Francia, i 670 della Germania, il che significa diventare sempre più un mercato di raccolta, piuttosto che un sistema competitivo.
Italiani diffidenti, ma con la crisi qualcosa sta cambiando. Secondo un’indagine Censis-Rur, il 58% degli italiani è convinto che per tornare a crescere è indispensabile realizzare nuove infrastrutture. Il 42% ritiene al contrario che è bene salvaguardare il territorio cercando di non realizzare nuovi interventi, in particolare nel Nord-Est (47,5%) e nel Centro Italia (46,5%). Tuttavia, negli anni più recenti, la notevole quota di italiani diffidenti verso gli interventi infrastrutturali sembra rendersi conto che il non agire può provocare un abbassamento della qualità della vita. Dalla recentissima indagine del Censis sull’Italia al 2020 emerge una diffusa consapevolezza delle conseguenze che la mancanza di reti potrà provocare in futuro. Ad esempio, nel campo dei trasporti, il 61% dei cittadini prevede che, se si continua così, fra 5-10 anni l’Italia sarà un Paese più congestionato, con una mobilità sempre più lenta e con difficoltà di spostamento. Per questo il 59% prevede di usare meno l’auto e il 68% pensa di ricorrere di più in futuro al trasporto pubblico. L’elevato costo del carburante può essere considerato un ulteriore elemento che spinge verso questo nuovo atteggiamento, tanto che le percentuali più alte si rilevano nel Mezzogiorno, dove il 71% dei residenti chiede più trasporto pubblico.
Per tornare a desiderare le infrastrutture: il “Dialogo pubblico finalizzato”. È indispensabile riaprire un ciclo di modernizzazione del territorio tramite infrastrutture e servizi. Occorre modificare le procedure progettuali in modo da eliminare incertezze e conflitti. Bisogna per questo sviluppare una democrazia di prossimità, capace di coinvolgere le comunità interessate fin dalle prime fasi progettuali. Alla luce delle intenzioni annunciate dal Governo di aprire alla partecipazione, il Censis propone di semplificare le procedure e di introdurre un iter formale di coinvolgimento degli stakeholder: il “Dialogo pubblico finalizzato”. In affiancamento al progetto preliminare dell’opera, dovrà essere consultato il territorio in modo da arrivare a un progetto definitivo di cui i cittadini siano informati e che recepisca il più possibile le esigenze legittime degli interessati. Con il progetto esecutivo viene chiusa la fase di coinvolgimento attivo e, attraverso un Comitato di pilotaggio rappresentativo, il territorio potrà ricevere le informazioni e seguire lo stato di avanzamento dei lavori. Solo con trasparenza, serietà e primato degli interessi volti al bene collettivo, l’Italia potrà sbloccarsi e tornare a creare lavoro, benessere e qualità della vita.