Campania leader nella componete armatoriale, 45,7% del tonnellaggio
Niente entusiasmo. Ma la conferma, comunque, di un sistema con un peso “ancora rilevante nell’economia nazionale”. È la fotografia scattata dal Censis al cluster marittimo nazionale, “ampiamente colpito dalla recente fase di crisi, ma capace di riorganizzarsi su basi parzialmente nuove e in grado di limitare la perdita di terreno subita in termini di competitività”.
Secondo il quadro tracciato dal “IV Rapporto sull’economia del mare”, presentato ieri a Milano, il settore marittimo ha contribuito a creare il 2,6% del Pil, producendo oltre 39,5 miliardi di euro in beni e servizi.
L’Italia mantiene ancora il 1° posto in Europa per importazioni via mare, con 185,4 milioni di tonnellate di merci, e al 3° per esportazioni, con 47 milioni – a poca distanza da Germania e Olanda. Nel traffico passeggeri, la penisola è al primo posto con 6,7 milioni di persone come base e destinazione delle crociere mentre a livello occupazionale le attività marittime danno lavoro a circa 500mila persone con una crescita del 30% dell’occupazione dal 2004 al 2009.
Dai dati relativi alle regioni, si conferma la leadership di aree tradizionalmente legate al mare come Liguria, Campania, Friuli Venezia Giulia, Veneto e Sicilia. Con la sorpresa della Lombardia, territorio senza sbocchi sul mare, terza nella produzione di unità da diporto e fra i maggiori fornitori di beni e servizi.
Posizione di rilievo assoluto per la Campania, la cui forza risiede innanzitutto nella componente armatoriale. Nella regione, secondo il rapporto, ci sono 115 imprese armatoriali sulle 471 complessivamente presenti nel Paese. “Appartiene ad armatori campani – spiega la ricerca – il 34,2% delle navi e ben il 45,7% delle tonnellate di stazza lorda. La regione occupa una posizione di rilievo anche nel comparto della portualità, dov’è in terza posizione grazie alla presenza dei due porti di Napoli e Salerno, entrambi ben posizionati sia nel segmento del trasporto di merci che di passeggeri”.
Per il futuro il quadro tratteggiato dal Censis è di “moderata espansione” con tre macro aree di particolare interesse. Quella verso la quale l’Italia intensificherà maggiormente i propri interscambi marittimi potrebbe essere la Cina ed Hong Kong; “dagli attuali 8 milioni di tonnellate di scambi (erano più di 12 milioni nel 2008) – prevede il rapporto – si potrebbe arrivare nel 2015 a quasi 20 milioni di tonnellate)”. Interessanti anche le prospettive legate alla sponda Sud del Mediterraneo e al Medio Oriente (fino a 200 milioni di tonnellate di scambi nel 2015) e all’area adriatico balcanica “la cui economia è cresciuta notevolmente nell’ultimo decennio, così come gli interscambi via mare con l’Italia (aumentati in volume di oltre il 60% tra il 2002 ed il 2009 e del 13% tra il 2005 ed il 2009)”.
“E’ verosimile ritenere – aggiunge il Censis – che anche da e verso l’area del Golfo Persico lo shipping italiano intensificherà la propria attività. E’ possibile ipotizzare che i flussi di traffico marittimo da e verso quest’area potrebbero passare dagli attuali 3,3 milioni di tonnellate a 5/6 milioni di tonnellate”.
Potenzialità non indifferenti che potranno essere colte nei prossimi mesi solo affrontando alcune sfide-chiave. Tra quelle individuate dal rapporto ci sono: il mantenimento della normativa europea e nazionale a tutela della competitività internazionale della bandiera marittima italiana; l’ ampliamento della base finanziaria, “anche attraverso innovazioni normative che consentano la diversificazione dell’approvvigionamento ed una concessione del credito bancario fondata su criteri meno stringenti rispetto a ciò che si è verificato negli ultimi due anni”; investimenti in tecnologia; “un piano organico, fattibile e con finanziamenti certi di interventi sulle infrastrutture materiali e di collegamento terra-mare, che consenta ai nodi logistici (porti e interporti) di migliorare il livello di efficienza del cluster marittimo”.