Gioia Tauro – E’ netta la vittoria della Autorità di Sistema portuale dei Mari Tirreno meridionale e Ionio nei confronti della Società Petrolifera Gioia Tauro (SPGT). Il Consiglio di Stato ha respinto in appello il ricorso proposto da SPGT, ponendo così la parola fine ad un’annosa vicenda che, dal 1995, ha visto il porto di Gioia Tauro interessato da una richiesta di concessione demaniale finalizzata alla realizzazione di un deposito costiero per lo stoccaggio di olii minerali (benzina e gasolio) della capienza di 40 mila metri cubi organizzato in 14 serbatoi.
Il Consiglio di Stato ha ribadito quanto deciso, a maggio del 2023, dal Tribunale amministrativo di Reggio Calabria, nel giudicare pienamente legittimo il diniego ad una istanza privata che, attraverso il finanziamento pubblico ex legge n° 488 – tristemente nota nel territorio calabrese – avrebbe voluto realizzare un insediamento privo di interesse pubblico in un’area ad evidente rischio sismico, tanto che il complesso iter istruttorio non si era mai perfezionato nel corso dei decenni.
Ampia soddisfazione è stata manifesta dal presidente Andrea Agostinelli che ha dichiarato: – “Devo dire grazie allo Studio Legale del prof. Stefano Zunarelli, ai miei Uffici e all’Autorità marittima, che con pazienza e grande capacità professionale hanno saputo ricostruire ed evidenziare – durante un periodo cronologico lunghissimo e assai tortuoso – le ragioni dell’Ente nell’opposizione ad un’istanza da sempre sprovvista dei supporti istruttori necessari e in contrasto con la pianificazione portuale”. La vicenda nasce nel 1995, quando, la ditta SPGT presenta istanza di concessione alla Capitaneria di Porto di Reggio Calabria. Dopo aver avviato un’ampia attività istruttoria, l’Autorità Marittima, nel 1997, si esprime con un parziale accoglimento e giunge alla stipula di un atto di sottomissione che prevede la concessione, da parte dell’Amministrazione pubblica, della possibilità di iniziare i lavori, con la riserva di bloccarli di fronte all’esito negativo dell’istruttoria, definendone altresì la conseguente e totale assunzione di responsabilità da parte del privato. Firmato l’atto interinale, nel 1998, la Società Petrolifera Gioia Tauro inizia i lavori, mentre l’iter amministrativo, per competenza, passa alla istituenda capitaneria di porto di Gioia Tauro. Naturalmente, essendo appunto in una fase di sottomissione, il percorso istruttorio procede e vede il coinvolgimento del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici che, a prova della complessità della materia, tra il 1998 e il 2001, si esprime con diversi pronunciamenti. Richiede integrazioni progettuali in merito a strutturali carenze dei serbatoi (per i quali non era stata prevista la realizzazione di un bacino di contenimento posto alla base dei serbatoi per la protezione del sedime e alla mancata progettazione di un accosto per le bettoline (navi cisterna che trasportano gli olii minerali).Si giunge, così, al 2000 con il primo fermo dei lavori imposto dalla Capitaneria di Porto di Gioia Tauro che, nell’acquisire le deliberazioni del Consiglio dei Lavori Pubblici, evidenzia la mancanza di corrispondenza tra quanto realizzato e quanto progettato.
Ma nell’anno successivo, con voto 449, il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici autorizza il proseguimento dei soli lavori a terra e non di quelli relativi all’accosto costiero, per i quali richiede alla ditta la presentazione di tre studi tecnici. Per il primo chiede lo studio relativo all’estremo rischio sismico che potrebbe essere generato dalla realizzazione dell’opera, considerata anche la fascia sismica 1 su cui ricade il porto di Gioia Tauro. Con il secondo studio, viene richiesta l’analisi della conseguente modifica della morfologia del litorale, a seguito di una eventuale costruzione di un accosto costiero. Ed infine, con il terzo studio, si invita la ditta ad analizzare l’eventuale modifica che potrebbe subire la natura morfologica delle sabbie mono-granurali, a causa della loro stessa liquefazione. Ma di fronte alle analitiche richieste formulate dal Consiglio dei Lavori Pubblici, la ditta Società Petrolifera Gioia Tauro nulla ha mai prodotto. Così, nel 2004, l’Autorità Portuale, nel frattempo istituita, prende in carico per competenza la richiesta concessoria e richiede alla Società Petrolifera Gioia Tauro la ripresa dei lavori, fermi dal 2003. Dopo un’accurata disamina della vicenda, nel 2006, l’Ente portuale emana un proprio decreto di decadenza per mancata realizzazione dell’opera e per mancato uso della concessione. Decisione, quest’ultima, che viene confermata anche dal Tar di Reggio Calabria che, interpellato dalla ditta SPGT, ne respinge il relativo ricorso. Ma nel 2008, il Consiglio di Stato ribalta la sentenza del Tribunale amministrativo reggino e annulla gli effetti del decreto dell’Autorità portuale. Da quel momento, però, tutto tace e fino al 2017 nessun lavoro viene posto in atto per il completamento dell’opera. Il colpo di scena giunge, dopo 14 anni di fermo, con la richiesta di completamento dell’iter concessorio da parte della ditta, adducendone motivi d’urgenza. Nei fatti, considerata la mancata realizzazione dell’opera, il MISE, titolare del finanziamento pubblico derivante dalla nota e improduttiva legge 488, ne richiede la restituzione dei soldi pubblici con revoca del finanziamento. Ripresa l’istruttoria, l’Autorità di Sistema portuale dei Mari Tirreno meridionale e Ionio riaggiorna la pratica amministrativa e richiede la produzione documentale, già ripetutamente chiesta alla ditta e mai prodotta. In vista di una eventuale e imminente perdita del finanziamento, la SPGT modifica il progetto riducendo a dieci i serbatoi, cambiando la destinazione dell’attività, che da stoccaggio passerebbe al solo trading, e ipotizzando un punto di accosto lungo la banchina nord, destinata altresì ad un uso pubblico polifunzionale. A quel punto, l’Ente istituisce un tavolo tecnico che, nel valutare la nuova proposta, esprime il proprio parere negativo e lo sottopone al Comitato portuale che, a sua volta, avalla la decisione dell’Ente. Gli ultimi passi della vicenda, nel 2021, vedono l’Autorità di Sistema portuale assumere il provvedimento di rigetto dell’istanza originaria, sia per mancanza della progettualità dell’opera che, entrando nella valutazione di merito, per assenza di interesse pubblico dell’intrapresa rispetto all’attuale assetto operativo dello scalo portuale di Gioia Tauro.
Chiamato in causa, nel maggio del 2023, il Tar di Reggio Calabria ha dato pienamente ragione all’Ente portuale. Una decisione che è stata ribadita, nella giornata di ieri, nell’atto finale del Consiglio di Stato che, con il suo pronunciamento, ha confermato la corretta e cristallina posizione dell’Autorità di Sistema portuale dei mari Tirreno meridionale e Ionio.