Il 30 dicembre potrebbe essere bloccata l’attività sulla east coast
La dead line è stata fissata al prossimo 30 dicembre. Poi, se il nodo del nuovo contratto dei lavoratori portuali non sarà sciolto, gli scali americani della costa orientale, compreso New York, rimarranno paralizzati. A meno di un mese dal blocco dei due principali porti del Pacifico, le banchine USA rischiano di tornare bollenti. E se nel caso di Los Angeles e Long Beach il blocco totale delle attività fu causato dalla vertenza di 800 colletti bianchi, fra meno di tre giorni ad incrociare le braccia potrebbero essere gli oltre 14.500 lavoratori dei 15 hub compresi tra Houston e Boston. Un sistema portuale, quello affacciato sull’Atlantico, che rappresenta la maggiore porta d’ingresso per i prodotti made in China.
L’azione, la prima di tale portata dai tempi dello sciopero del 2002 che paralizzò letteralmente il Paese, potrebbe chiamare in causa lo stesso presidente Obama. Quest’ultimo, qualora ritenesse minacciato l’interesse nazionale, potrebbe neutralizzare la protesta in base al Taft-Harley Act, il cui ricorso porterebbe alla riapertura dei moli e a una mediazione del conflitto a livello federale.
Mentre già si fanno le prime cifre sulle perdite del sistema logistico (si stima che per la sola area newyorkese andrebbero in fumo oltre 250 milioni di dollari a settimana) le compagnie corrono ai ripari. Scottate dalla precedente esperienza di Los Angeles e Long Beach, quando almeno una ventina di portacontainer furono costrette alla fonda per una settimana, annunciano supplementi sulle rate di nolo in caso di blocco delle attività. È il caso ad esempio di Maersk Line che ha stabilito addebiti di 320 dollari per container da 20 piedi e 400 per quelli da 40. “Qualora non vi fossero scioperi – fa sapere la società – la tariffa sarà annullata”.