Comunicato dell’Amministratore della società. “Troppa confusione”
In relazione alla confusione provocata da notizie, commenti e malintesi che sono circolati in questi ultimi giorni su diversi mass-media nazionali e locali, tra cui LA7, con il corollario delle più disparate interpretazioni e conseguenti preoccupazioni che stanno diffondendosi tra i creditori della società Deiulemar Compagnia di Navigazione, quale rappresentante legale della stessa, ritengo opportuno e doveroso prendere direttamente posizione al fine di chiarire possibili fraintendimenti ed inquadrare correttamente la vicenda.
In primo luogo, mi sembra giusto rettificare talune ricostruzioni dei fatti accaduti che rischiano di distorcere la verità. Distorsione fonte di una possibile lesione alla dignità dei portatori dei certificati intestati alla Deiulemar e della intera comunità cittadina di Torre del Greco e che, con riguardo alla gestione della crisi della società, finisce per ingenerare un clima di tensione incontrollabile di ostacolo a un confronto sereno tra società e suoi creditori. Mi riferisco, in particolare, alle ricostruzioni accreditate da taluni giornalisti e commentatori, che possono indurre a qualificare i portatori di certificati obbligazionari intestati a Deiulemar Compagnia di Navigazione come soggetti appartenenti ad un’area grigia, composta di speculatori o comunque investitori attratti proprio dall’irregolarità dei bond movimentati fuori dalle corrette procedure societarie. In proposito, credo che tale analisi vada confutata. Come risulta sulla base dei dati più aggiornati all’esito del censimento, attuato dalla società e pressoché concluso, tra i portatori di certificarti figurano oltre 10mila investitori. Fermo restando che in una platea così ampia sia possibile riscontare ogni tipo di motivazione personale all’investimento, avendo incontrato personalmente centinaia di investitori, mi sento di dovere testimoniare come la totalità delle persone che ho incontrate mi siano sembrate ben lontane dall’archetipo dello speculatore o dell’investitore mosso da dubbie motivazioni. Ho, infatti, incontrato lavoratori delle più disparate categorie (tra cui non di rado lavoratori dai lineamenti del viso segnati dal mare), a volte pensionati, altre volte madri di famiglia, in qualche caso anche giovani risparmiatori animati da progetti di vita. Tutte persone spesso molto esasperate per essere entrate in crisi profonda insieme alla Compagnia, ma comunque sempre portatrici di storie degne di ogni rispetto e dignità.
Ugualmente ingeneroso e fuorviante, più in generale, appare il presentare il caso come crisi di sistema, indice di un Paese fuori controllo, come spesso si fa in casi di questo tipo. Siamo, infatti, di fronte ad un chiaro caso di malfunzionamento del mercato e degli strumenti propri del sistema capitalistico, che non è certamente un fenomeno esclusivo del nostro Paese. Patologie di questo tipo possono verificarsi e si verificano ovunque. Quello che è essenziale è che l’ordinamento offra anticorpi in grado di reagire alle possibili patologie, accertando responsabilità e ponendo, per quanto possibile, riparo agli effetti dannosi che si sono prodotti. E le diverse istituzioni poste dall’ordinamento a tutela dei vari interessi coinvolti stanno, nel caso di specie, operando e reagendo efficacemente. In una prospettiva futura, magari, perché fenomeni simili non si ripetano, si può forse anche intervenire per chiudere alcuni varchi consentiti dalla disciplina societaria, che potrebbero avere facilitato il prodursi della patologia. Non è questa la sede in cui affrontare tale aspetto ma si può sinteticamente considerare che probabilmente obblighi di governance più strutturata, in ordine all’organo esecutivo, per società di una certa dimensione, avrebbero reso più difficile un sistema di movimentazioni esterne alla società, non rilevabili dagli organi di controllo, in quanto appunto attuate del tutto al di fuori di procedure e flussi finanziari propri della società stessa.
Sempre scorrendo tra le pagine di giornali e articoli su web, ho poi trovato assai di cattivo gusto e per nulla adeguata al caso di specie l’opinione di un commentatore, che ha fatto ricorso all’aforisma dello “stupido che prima o poi si separa dal proprio denaro” che richiama anche Galbraith, nel saggio “Il Grande Crollo”, per spiegare le ragioni alla base della bolla di Wall Street e della grande crisi del ’29. Nel caso della Deiulemar, invero, non ci troviamo nel modo più assoluto di fronte al tipico fenomeno speculativo di euforia irrazionale verificatosi nel ’29 o anche ai giorni nostri con le bolle della new economy e dei subprime. Nel caso dei bond marchiati Deiulemar non vi sono state da parte degli investitori erronee valutazioni sulla solidità della società o dei trend di mercato. I problemi con cui occorre fare i conti sono senza dubbio aggravati dalle profonde difficoltà del mercato dei noli e della navigazione marittima ma, con riferimento ai bond in circolazione, nascono prima di qualsiasi altra ragione dall’affidamento che i sottoscrittori hanno nutrito verso certificati del tutto identici a quelli regolari emessi e movimentati al di fuori delle ordinarie procedure societarie e della copertura patrimoniale offerta dalla società. Certificati movimentati – non certo dagli investitori – in modo irregolare, per un ammontare complessivo pari a ben oltre 10 volte quello che la società aveva emesso regolarmente e poteva emettere nel rispetto delle norme di legge.
Sicuramente, dunque, nella movimentazione di tali certificati vi è stato un abuso di affidamento. Abuso rispetto al quale, come è noto, è attualmente in corso una indagine da parte dell’autorità giudiziaria per individuare le responsabilità. Ed è questa la più importante tra le reazioni dell’ordinamento a cui sopra si è fatto cenno. Anche Autorità di vigilanza del mercato stanno cercando di fare chiarezza, così come sta facendo la stessa società Deiulemar Compagnia di Navigazione. La società, secondo la posizione assunta dal sottoscritto, più specificamente, ha ritenuto e dichiarato di non potersi chiamare fuori da tale problema, nel convincimento che secondo consolidati principi giuridici (tra cui quelli della spendita del nome dell’affidamento e della responsabilità oggettiva) dovesse prendere atto delle movimentazioni esterne di titoli e lavorare all’obiettivo del riconoscimento secondo un procedimento e modalità a tenuta legale sotto tutti i profili.
In questo senso, oltre che procedere al censimento, la società ha provveduto a richiedere un parere legale pro-veritate ad un insigne giurista e può affermare che, a conclusione di tale processo, sia le obbligazioni regolari sia quelle definite irregolari potranno avere un uguale trattamento nell’ambito del concordato che verrà proposto ai creditori, venendosi così a ricongiungere e sovrapporre divenendo un solo mondo, quelli che in più occasioni ho definito come mondo parallelo e mondo reale della società. Questa e nessun’altra è la posizione ufficiale della società e del suo attuale rappresentante legale.
Ciò detto, purtroppo, dal riconoscimento dei titoli non discende, per certo, che sulla base della situazione patrimoniale ed economica della società, sia possibile riuscire a garantire l’integrale soddisfacimento degli investitori e dei creditori in genere. Tale possibilità, nei fatti, al di là delle ragioni di credito vantate da ciascun creditore, dipenderà inevitabilmente dalla dimensione dell’ammontare complessivo del debito raffrontato al valore complessivo delle risorse sulle quali la società può e potrà contare per le finalità del soddisfacimento.
Con riguardo a quest’ultimo profilo, quanto al passivo, nell’ultimo comunicato ufficiale la società aveva dichiarato che l’ammontare dei certificati cosiddetti irregolari era pari a circa 550 milioni di euro, approssimato per difetto più che per eccesso. Il dato definitivo sull’ammontare dei certificati cosiddetti irregolari verrà reso noto nel corso della prossima settimana ma, allo stato, appare ben inferiore all’importo di 800 milioni che è circolato in questi ultimi giorni o all’importo di un miliardo di euro ipotizzato da una trasmissione televisiva nazionale. Al predetto importo, alle obbligazioni iscritte in bilancio per circa 40 milioni di euro, va aggiunto il debito bancario, che per effetto delle ultime erogazioni sulla nave in consegna, Citta di Torre del Greco, è definito nella misura complessiva di circa 101 milioni di euro (salvo possibili rettifiche dovute a modifiche del cambio euro/dollaro) comprensivo sia dei finanziamenti garantiti da ipoteche sia di quelli non garantiti. Va poi considerato il debito verso fornitori, in particolare noleggiatori di navi, che, allo stato, non è ancora pienamente definito, risultando costituito anche di rapporti oggetto di contenzioso, ma che dovrà esserlo per la fine del mese. Quanto all’attivo, si sta procedendo a determinare il valore effettivo dei beni già di proprietà della società, oltre che di quelli che sono in via di conferimento da parte dei soci fondatori e dei giovani delle famiglie dei soci fondatori, come reso noto con i comunicati ufficiali. Tra questi beni dovranno risultare comprese anche le società Deiulemar Shipping S.p.A. e Ledi Shipping S.r.l. proprietarie complessivamente di 18 navi.
Solo nel momento in cui tali ultimi valori saranno perfettamente definiti sarà possibile ragionare sulle soluzioni possibili e predisporre una proposta realistica di soddisfacimento dei creditori. Come ho dichiarato più volte, ove lo scostamento tra debito complessivo e valore complessivo dei beni su cui la società potrà contare fosse particolarmente elevato, ferma restando la necessità di fare ricorso a tutti gli strumenti offerti dalla legge per ricapitalizzare ulteriormente la società ed attuare tutti gli adempimenti previsti dalla legge a tutela della società e dei creditori, al fine di ridurre il predetto scostamento, diventerà difficile non ipotizzare la conversione totale o parziale dei crediti in capitale della società, proponendo ai portatori di certificati, sia regolari sia cosiddetti irregolari, l’assegnazione di azioni della società.
Bisogna prendere atto che una soluzione di questo tipo non sarà valutata arbitrariamente e con leggerezza né naturalmente sarà possibile attuarla per decisione unilaterale della società. Ove venga valutata, lo sarà in quanto unica soluzione possibile in relazione ai numeri. Occorre infatti sottolineare che nessuna società può rimanere in vita se ha un rapporto sproporzionato tra attività e passività. Ciò sia per vincoli societari di tipo giuridico sia per ragioni strettamente economiche. Dunque, salvo riuscire ad attestarsi su un rapporto equilibrato tra mezzi propri e debito della società, non sarà in nessun modo possibile lasciare iscritto un debito per obbligazioni pari a quello che sembra risultare essere il debito complessivo riferito a tutti certificati obbligazionari. In tale ipotesi sfavorevole, l’alternativa possibile ad una conversione totale o parziale dei crediti in capitale sarebbe, dunque, quella della liquidazione della società per monetizzare il valore dei beni a disposizione e con il ricavato soddisfare i creditori. Tale ultima soluzione determinerebbe più di un effetto negativo. Il primo sarebbe quello di ridurre ulteriormente le disponibilità utili per soddisfare i creditori, giacché con la svendita dei beni si rischierebbe di incassare meno del valore che i beni possono esprimere in uno stato di continuità aziendale. In secondo luogo, si finirebbe per uscire dal mercato, precludendosi l’opportunità di beneficiare di ogni possibile recupero del valore dei noli e delle navi di proprietà, che potrebbe invece tornare a beneficio finale dei creditori. Proprio in ragione ed in vista di tale opportunità l’assegnazione di azioni ai creditori risulterebbe la più equa delle soluzioni nell’interesse dei creditori. Di fatto, gli attuali soci della società perderebbero la loro posizione di azionisti ed ogni possibile recupero di valore della società spetterebbe ai nuovi azionisti che appunto sarebbero i creditori.
Sono ben consapevole che tale soluzione potrebbe non rispondere alle esigenze ed aspettative di tutti i creditori. Proprio per tale ragione, in risposta alle osservazioni ed istanze rappresentate dai vari comitati di obbligazionisti, associazioni di risparmiatori ed avvocati, mandatari di investitori, ho rappresentato che mi piacerebbe lavorare ad una soluzione mista, nell’ambito della quale poter proporre diverse forme di rimborso combinate tra loro. Allo stato, al di là di ogni possibile misura, si tratta, tuttavia, di un’ipotesi che sarebbe ideale ma che – ribadisco – potremo valutare solo in quanto i valori di bilancio lo consentiranno, al netto di qualsiasi azione la società possa intraprendere realisticamente e secondo diritto per rafforzare la sua base patrimoniale.
La società da me rappresentata è aperta ad ogni confronto con tutti gli interessati su numeri e azioni per raggiungere il migliore risultato possibile. Ma dobbiamo realisticamente partire dalla situazione concreta: da ciò che possiamo e non da ciò che vorremmo. Ciò che, in ogni caso, non possiamo e non dobbiamo permetterci è mettere la testa sotto la sabbia. La partita che – società e creditori, insieme, dalla stessa parte del tavolo – stiamo giocando al fine di raggiungere il migliore risultato possibile è molto complicata, piena di nodi di ogni tipo, di natura giuridica ed economica. E le carte che abbiamo servite sono quello che sono. Possiamo forse effettuare qualche cambio, puntando a migliorarle, ma nel complesso dobbiamo prendere atto delle carte di cui disponiamo e giocarle al meglio con la migliore intesa possibile.
Roberto Maviglia