Il “muro di gomma” dell’Ap di Napoli mette a rischio investimenti privati per oltre 2,5 milioni
La recente proposta europea di un regolamento sul riciclaggio delle navi mercantili modificherà ulteriormente il settore delle demolizioni navali. Con l’obiettivo di intercettare quel 90% di naviglio attualmente trattato in impianti non conformi le nuove norme mirano, in definitiva, a delineare in modo più preciso gli ambiti (ambientali, procedurali, industriali) in cui inscrivere questa particolare attività. Con la necessità di un’ulteriore specializzazione per un comparto che già rivoluzionato a partire dagli anni novanta – con l’attenzione crescente di legislatore e opinione pubblica alle problematiche dell’inquinamento e della sicurezza – potrebbe trovare, proprio per questi fattori, nuove ed insperate potenzialità di sviluppo.
Un’opportunità di crescita, peraltro in un momento di difficoltà economica generalizzata, che il settore delle demolizioni del porto di Napoli sarebbe pronto a cogliere al volo ma che rischia di perdere in modo definitivo e a vantaggio di una concorrenza straniera, Turchia in primis, meno professionalizzata.
A impedire la definitiva maturazione di un comparto industriale che vanta nello scalo partenopeo una lunga e consolidata tradizione, non la mancanza di risorse tecnologiche o imprenditoriali, né di opportunità legate al mercato (le commesse, anzi, ci sarebbero pure); ma, a dirla in breve, l’impossibilità materiale di spazio per poter operare.
“Sembra incredibile – spiegano i rappresentanti del Consorzio Demolitori Porto di Napoli, associazione nata nel 2009 che riunisce le società Nuova Siderna, Rotrafer e Siomi – ma siamo costretti a rifiutare commesse perché non abbiamo nessun posto dove poter lavorare. Eppure costituiamo una realtà che occupa direttamente 40 unità lavorative e che, per la natura stessa dell’attività, tra trasporti, bonifiche, smaltimento, forniture e assistenza tecnica specializzata, coinvolge un indotto non trascurabile. Invece, l’ultimo lavoro effettuato risale a più di tre anni fa. Da allora niente”.
Una storia lunga, quella denunciata dal Consorzio Demolitori Porto di Napoli, che chiama direttamente in causa l’Autorità portuale di Napoli, “la sua incapacità di interloquire – sottolinea l’associazione – con le problematiche di un settore che pure nel POT 2011/2013 è chiamato a giocare un ruolo rilevante nell’economia portuale”.
Tutto comincia nel 2007, con l’abrogazione della destinazione della banchina 39 alle demolizioni navali e la decisione di destinare “un’area della banchina 32 non inferiore a 120 metri” alle esigenze del settore.
Una scelta, presa nell’ottica di razionalizzazione complessiva del settore cantieristico del porto, con cui comincia il calvario dei demolitori, costretti a scontrarsi con un vero e proprio “muro di gomma”, fatto di impedimenti burocratici, intoppi, continui stop and go.
Innanzitutto, l’area individuata è sottoposta già all’epoca a “lavori di ristrutturazione che rendono la banchina non utilizzabile per l’intera durata degli stessi”. A tutt’oggi – sono passati cinque anni – l’Ap ha confermato che i tempi di conclusione dei lavori non sono prevedibili, causa non meglio specificati “problemi tecnico – finanziari della ditta esecutrice”.
Nel frattempo il Consorzio presenta un progetto di massima “per realizzare impianti tecnologici di ultima generazione (compreso un apparato di depurazione delle acque) in grado di permettere le attività lavorative nel pieno rispetto delle norme ambientali e di sicurezza”. A causa di problemi strutturali (mancherebbe nell’area una vasca di raccolta delle acque) il piano viene adeguato con gli opportuni accorgimenti e affiancato da un ambizioso business – plan che prevede investimenti da 2.617.000 euro per attrezzature, servizi e personale.
“Il progetto – spiegano i demolitori – avrebbe dovuto essere operativo entro il 2011; per il 2015 avremmo potuto ottenere commesse per almeno 3 milioni e seicentomila euro. L’Autorità portuale, invece, non si è ancora pronunciata in merito alle richieste per concessioni presentate sull’area da tra ditte concorrenti, specializzate in settori estranei al porto. Le nostre aziende vantano una continuità lavorativa ultra ventennale nel settore navale e a Piazzale Pisacane non sono ancora riusciti a prendere una decisione”.
In questo quadro desolante, dove l’attesa di uno sbocco si intreccia con il timore concreto del fallimento di un intero comparto industriale, i demolitori stanno lottando per ottenere almeno una sistemazione provvisoria. Una soluzione, al centro di una riunione tenutasi nel marzo scorso, ci sarebbe pure: l’uso del molo Martello, attualmente inutilizzato, attraverso il rilascio di un’autorizzazione di durata non inferiore al termine dei lavori di consolidamento della banchina 32. Riguardo le difficoltà legate all’accesso all’infrastruttura (bisognerebbe accedere all’area attraverso il cantiere della 32) il Consorzio ha le idee chiare: “Siamo pronti – conferma l’associazione – a sobbarcarci a nostre spese i lavori per ripristinare un corridoio di transito e di messa in sicurezza dell’area. In questo modo saremmo in grado di presentare istanza per un’autorizzazione temporanea ai lavori di bonifica e demolizione da effettuare in loco. Le aree ci sono, è possibile trovare una soluzione, sfruttando spazi inutilizzati, che non contempli, causa l’indifferenza dell’ente portuale, la scomparsa della nostra attività”.
In merito alle aree abbandonate dai concessionari il Consorzio ventila anche un’altra alternativa. L’ex scalo de La Nuova Meccanica Navale, sito nei pressi della concessione Marintecnica, abbandonato da anni. La struttura, tra le altre cose, sarebbe in grado di offrire anche un’ulteriore possibilità ai demolitori: lo scalo d’alaggio. Un’opportunità che, nella prospettiva di un futuro completamento del molo destinato al settore, potrebbe risolvere due problemi. La rivalutazione di uno spazio portuale sottoutilizzato – nel solco delle scelte sottolineate dalla stessa Ap in sede di redazione del nuovo PRP – il vantaggio per le aziende del Consorzio di poter lavorare sulle unità senza dover ricorrere all’uso dei bacini.
Una soluzione semplice ed efficace, in grado di restituire, al di là delle troppe dichiarazioni di facciata che si sentono di questi tempi, un ruolo regolatore ad un ente portuale che in questa vicenda si è dimostrato più un ostacolo che uno stimolo alla crescita delle attività portuali. Bisogna ancora aspettare?
Galleria fotografica banchina 32