Per la Banca Mondiale procedure “inefficienti e costose”
Per l’esportazione di un container da un porto italiano si impiegano in media 19 giorni e 1.006 dollari a fronte dei 7 giorni e 872 dollari necessari nel porto di Amburgo. Per l’importazione occorrono invece 17 giorni e 1.131 rispetto ai 6 giorni e 1.045 dollari dallo scalo statunitense di Southampton.
Sono alcuni dei dati riferiti alla portualità della penisola raccolti dalla Banca Mondiale in “Doing Business in Italy 2003”, report annuale che misura il grado di “facilità a fare impresa” attraverso il confronto tra le regolamentazioni d’impresa in 13 città e 7 porti italiani e quelle di 185 Paesi nel mondo. Un’analisi che se da un lato vede l’Italia passare dalla 75esima posizione alla 73esima, in una classifica guidata da Singapore, Hong Kong, Nuova Zelanda e USA, dall’altro conferma le difficoltà italiane a doversi confrontare “con procedure lunghe, inefficienti e costose”.
Problematiche, prodotte dall’elefantiasi burocratica, cui non sfuggono gli scali di Genova, Trieste, Napoli, Catania, Gioia Tauro, Cagliari e Taranto, presi in considerazione dallo studio per analizzare le performance del commercio marittimo transfrontaliero.
In un sistema dove per l’attività di import/export sono richiesti quattro documenti (polizza di carico,
certificato di origine, fattura commerciale e dichiarazione doganale d’importazione) lo scalo più performante risulta Genova che con Taranto e Trieste vanta i minori tempi per le esportazioni (18 gioni, due in più per Napoli e Gioia Tauro). Sul fronte importazioni, le prime posizioni sono occupate da Cagliari e Catania (16 giorni per entrambi); nella maggior parte degli altri porti i tempi di importazione si allungano di un giorno (17 giorni), mentre a Taranto di 2 (18 giorni).
Per quanto riguarda i costi è più conveniente esportare da Genova – 940 dollari per container – e importare da Taranto –1.030. Tra i 7 porti analizzati, quello di Cagliari registra i costi maggiori sia di esportazione – 1.040 dollari – sia di importazione 1.470.
“I costi di importazione ed esportazione dei container – spiega lo studio – sono in linea con la media OCSE, ma più alti rispetto ad altri competitor dell’Italia. In Germania, ad esempio, si pagano 937 dollari per importare un container e 872 per esportarlo, rispettivamente 134 e 194 dollari in meno rispetto alla media dei porti italiani”.
Ma su quali leve è necessario spingere per recuperare il terreno perduto? Una delle risposte fornite da Doing Business, in un Paese dove gli uffici doganali lavorano 6 ore al giorno, rispetto alle 24 ore su 24 dei principali Stati europei, sta nell’uso della tecnologia. “In Spagna – è sottolineato – da ormai molti anni i commercianti possono trasmettere elettronicamente le dichiarazioni doganali e i documenti scansiti. La graduale adozione di strumenti tecnologici e l’applicazione di queste procedure in tutti gli uffici doganali spagnoli, insieme al progressivo aumento dell’utilizzo di dichiarazioni elettroniche da parte di importatori ed esportatori, hanno consentito ai commercianti di recarsi di persona presso gli uffici doganali con minor frequenza. Tali iniziative – si continua – hanno permesso alla dogana di snellire le procedure di definizione dei profili di rischio dei cargo, con conseguente riduzione delle ispezioni fisiche e diminuzione del ritardo medio dello sdoganamento”.
Tra le altre misure da intraprendere: la liberalizzazione del settore trasporti (“gli operatori dei terminal portuali italiani dovrebbero essere in grado di gestire direttamente i servizi di collegamento tra le piattaforme portuali e le reti ferroviarie”), l’introduzione di procedure di presdoganamento, promozione del ruolo dell’Operatore Economico Autorizzato, ispezioni extra-portuali “presso i magazzini di fornitori e importatori”, Sportello Doganale unico. Infine, una maggiore autonomia finanziaria dei porti “in funzione al relativo valore economico e contributivo al Pil”. “Una ristrutturazione radicale dell’assegnazione dei fondi – si spiega – per i porti sulla base di criteri meritocratici premierebbe i porti più produttivi attorno ai quali si andrebbe a costruire una strategia portuale nazionale”.
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