Dall’Assemblea di Taranto degli agenti marittimi lanciata la nuova formula per la governance del più importante asset strategico del Paese: i porti
Taranto – Porto Italia. Il titolo scelto dal presidente Alessandro Santi, per l’assemblea generale della Federazione degli agenti marittimi svoltasi questa mattina a Taranto, era già di per sé provocatorio. Ma le indicazioni che sono scaturite sono risultate ancora più deflagranti, e non solo perché il professor Giulio Sapelli, politico dell’economia, presente nel panel dei relatori, ha definito i porti “la vera dinamite” sui mercati internazionali, ma perché anche e specialmente dalla relazione di Santi sono emerse almeno quattro considerazioni deflagranti.
La prima relativa un sistema di relazioni internazionali che oggi sembra indicare i prodromi di cambiamenti epocali, forse prevedibili se la politica conoscesse la storia: cambiamenti epocali che vedono l’affermazione sempre più convinta dell’India come riferimento del commercio e dell’economia mondiale, un declino comunque difficilmente arrestabile della Cina, ancorché tutt’oggi presente indirettamente anche in quei paesi asiatici che sembrano averle eroso parte di quote produttive industriali e equilibri a dir poco fragili connessi ad esempio con la Via del Cotone, (India, Arabia Saudita, Israele, Sud Europa) di cui, almeno prima dell’esplodere del conflitto di Gaza, era accreditata di enormi potenzialità
La seconda che riguarda il ruolo dell’Italia in questo scacchiere internazionale caratterizzato da superpoteri internazionali dai quali l’Italia è molto meno dipendente ad esempio rispetto a quanto accada in Germania.
La terza relativa al ruolo dei porti e dei traffici marittimi e dei porti che rappresentano – come ha sottolineato più volte il presidente di Federagenti – il più importante asset del sistema Paese.
E, in conclusione la quarta considerazione che ha segnato l’assemblea di Taranto e che rappresenta anche la sintesi delle precedenti: l’Italia ha oggi bisogno di scegliere autonomamente quale formula di politica portuale perseguire (specie in un Mediterraneo che la può vedere protagonista) senza inseguire schemi che vanno bene per i paesi del Nord Europa o per la Spagna, ma che non sarebbero adeguati al livello di sfida che l’Italia ha le potenzialità di vincere.
E questa formula – secondo Federagenti – è proprio quella di Porto Italia, una portualità diffusa lungo tutte le coste italiane, che trovi sintesi decisionale e strategica in una cabina di regia nazionale pubblico-privati in grado di fornire indicazioni di priorità strategica anche in tema di infrastrutture, di logistica indotta, di governance
“Una cabina di regia che si muova – come affermato da Santi – su una visione unitaria e centrale, un controllo statale della risorsa demaniale e delle scelte strategiche su di essa attraverso un modello da applicare che sia personalizzato, “made in Italy’ potremmo dire, che sappia cioè cogliere le peculiarità italiane e le opportunità che derivano da esperienze di altri paesi senza esserne soggiogati”.
“Abbiamo bisogno di una più forte collaborazione ed interazione tra pubblico e privato sia a livello di investimenti strategici (nel perimetro dello strumento concessorio) che a livello di governance delle AdSP; abbiamo bisogno di una regia nazionale in seno al MIT che diventi la cabina di regia operativa per le AdSP, che ne garantisca efficienza e coordinamento, armonizzazione delle regole per una giusta competizione e cooperazione tra le AdSP, soprattutto in questo momento dove il fenomeno della verticalizzazione è sempre più spinto, che sappia derimere ed eliminare sovrapposizioni di competenze (ART, AGCM, ANAC, MIT), garantire percorsi normativi standard per procedure ricorrenti, ad esempio tutte le pratiche di autorizzazione ambientale, farsi interfaccia del CIPOM in maniera bidirezionale per l’attuazione del piano del Mare per la parte della portualità”.
Nel lanciare la sua formula per i porti, come asset strategico del Paese, Federagenti a Taranto non si è astenuta neppure sul tema delle Autorità di Sistema Portuale. Anzi. Difronte ai tentativi neanche così occulti dell’asse tedesco-olandese di concentrare tutti i traffici al nord lasciando al Sud Europa il compito di “decarbonizzare” il Mediterraneo, assistendo passivamente a una de-industrializzazione e alla nascita di una specie di nastro trasportatore delle merci dal Nord Europa all’Italia, il nostro Paese deve rispondere con forza con un modello di porto diffuso con coordinamento centrale ‘operativo’ condiviso tra pubblico e privato con funzioni di regolazione e armonizzazione: esattamente “Porto Italia”.
“E – ha concluso Santi – in questo modello Taranto avrebbe davvero tutte le chance di diventare la porta a sud dell’Europa…”