L’impegno dello shipping contro il riscaldamento ambientale
Gli studi più recenti assegnano allo shipping internazionale l’emissione di 870 milioni di tonnellate di CO2, pari al 2,7% del totale. Cifre riferite al 2007, ultimo anno di pienamente positivo per l’economia mondiale, prima di una crisi che ha fatto sentire i suoi effetti anche sul trasporto merci. Con effetti paradossali per la salute ambientale. I dati sulle emissioni di gas serra relativi all’Italia nel periodo 2008-2012, ad esempio, ne sono la conferma. Un meno 7% – causato principalmente dalla flessione della produzione industriale – che ha permesso alla penisola di superare gli obiettivi (-6,5%) fissati dal protocollo di Kyoto.
Nasce da qui la necessità di un quadro più chiaro sulle ricadute del trasporto marittimo cui si sta dedicando l’Imo in questi giorni. Il Comitato per la protezione dell’ambiente marino (MEPC) dell’International Maritime Organization si sta occupando, infatti, di rivedere le stime correnti sulle emissioni di gas serra. Un aggiornamento considerato fondamentale per valutare l’impatto delle misure entrate in vigore da quest’anno per combattere il riscaldamento globale.
Si tratta, in particolare, di una serie di emendamenti alla Convenzione Marpol, adottate nel luglio 2011, che prevedono l’obbligatorietà dell’Energy Efficiency Design Index (EEDI) per le nuove unità e di un piano per la gestione dell’efficienza energetica (SEEMP – Ship Energy Efficiency Management Plan) per tutte le navi con tonnellaggio superiore alle 400 tonnellate. A partire dal 2015, in pratica, l’indice minimo di efficienza energetica di una nave di nuova costruzione (EEDI) dovrà migliorare le prestazioni ambientali dell’unità del 10%, raggiungendo, con innalzamenti progressivi ogni 5 anni, il 30% nel periodo 2025-2030. “L’obbligatorietà dell’indice – precisa l’IMO – non è prescrittivo: progettisti e costruttori saranno liberi di utilizzare le tecnologie che riterranno opportune per il raggiungimento degli obiettivi”.
Gli esperti del MEPC, le cui conclusioni saranno rese note il prossimo maggio, non si limiteranno solo alle misurazioni sull’anidride carbonica. Uno degli obiettivi della convenzione autonoma delle Nazioni Unite è quella di mettere a punto un vero e proprio “paniere” di gas serra emessi dalle navi. Tra questi il metano (CH4), il protossido di azoto (N2O), idrofluorocarburi (HFC), perfluorocarburi (PFC) ed esafluoruro di zolfo (SF6).
L’abbattimento delle emissioni di gas serra è al centro delle strategie di sviluppo delle maggior compagnie internazionali alle prese con processi di ottimizzazione sempre più incalzanti. All’inizio di quest’anno Maersk, principale società del settore a livello mondiale, ha annunciato di aver ridotto
le emissioni di CO2 del 25% rispetto al 2007, con otto anni di anticipo rispetto al 2020, anno fissato per il raggiungimento dell’obiettivo. “L’attenzione posta all’efficienza energetica – ha spiegato Morten Engelstoft, Capo Ufficio Operativo di Maersk Line – ha reso l’azienda più competitiva. Nel tagliare le nostre emissioni abbiamo contribuito a tagliare anche quelle dei nostri clienti mettendo a disposizione analisi comparative sul rendimento ambientale dei fornitori. Ora vogliamo arrivare al 40%”.