• 23 Novembre 2024 04:22

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Tavola rotonda a Napoli sull’impatto della mega navi

È negli anni settanta che la crescita dimensionale delle navi subisce un deciso colpo di acceleratore. Risale a questo periodo, siamo nel 1976, il varo della Knock Nevis, tuttora l’unità più grande mai costruita con le sue oltre 564mila tonnellate di stazza. Una scommessa, quella di puntare sulle mega dimensioni, che giocata sull’onda del primo shock petrolifero risultò alla fine perdente. Il cambio delle condizioni che ne avevano determinato il primo effimero successo (blocco del Canale di Suez e alto prezzo del petrolio) ne causarono anche il fallimento. Dimostrando, con una lezione valida ancora oggi, che nello shipping le scelte “speculative” non pagano.

Un avvertimento, anche nei confronti dell’attuale mantra sulle “economie di scala”, che si alza dalla tavola rotonda “Gigantismo navale e crisi globale: le dimensioni sono davvero sinonimo di competitività?” organizzato a Napoli dal Propeller Club di Umberto Masucci. Nel corso dell’incontro, infatti, sono stati vagliati i pro e i contro della tendenza a costruire navi sempre più grandi. Un fenomeno che se da un lato registra indubbi vantaggi (uno tra tutti, la nascita della moderna industria crocieristica) dall’altro pone una serie di problematiche riguardo gli impatti sulle infrastrutture, i rischi assicurativi, la minore flessibilità operativa.

“I due settori dove il gigantismo emerge con maggior nettezza – ha spiegato  il consigliere di Confitarma Federico Garolla di Bard, illustrando lo stato dell’arte – sono i container e la crocieristica. Sono già 334 le unità superiori ai 6.000 teu, il 35% del totale, mentre nell’ultimo decennio le portacontainer con stazza compresa tra 70 e 99mila dwt si sono decuplicate. Discorso simile per le crociere dove le unità da superiori alle 80mila gt sono passate in un ventennio da 170 a 290”. Meno accentuato, se non in controtendenza, la situazione della unità dedicate al trasporto delle rinfuse liquide e solide che scontano la rimodulazione dei mercati tradizionali (in molti casi, ad esempio, Paesi una volta solo produttori di petrolio sono diventati anche raffinatori). “Il settore delle megatanker – conferma Garolla – risulta in decrescita del 4% nel periodo 2000-2011 mentre per le rinfuse solide si registra solo un lieve incremento”.

Ma quali sono le prospettive per il futuro? Esiste un limite alla crescita della stazza? “Indietro non si torna”, sottolinea il rappresentante di Confitarma. “La crisi – spiega – sta causando cancellazioni di ordini, ritardi di consegna, riconversioni ma non c’è frazionamento di tonnellaggio. Anzi, l’integrazione verticale, con le compagnie sempre più interessate alla gestione dei terminal, e l’efficientamento degli scafi suggerisce un’ulteriore crescita anche se limitata nel breve periodo”.

Nasce da qui il rischio della “marginalizzazione” per gli impianti portuali non in grado di ospitare le navi di nuova generazione. “Ad oggi – ha sottolineato l’amministratore delegato di Mct di Gioia Tauro Domenico Bagalà – solo Gioia Tauro ha fondali sufficienti. Se si considera che la nave più grande in esercizio, la Marco Polo della Cma Cgm con i suoi 16mila teu sarà superata a breve dall’entrata in servizio delle Triple E della Maersk con 18 mila teu, è chiaro che i porti italiani devono puntare sull’infrastrutturazione. A Gioia Tauro ci stiamo attrezzando per movimentare 6 navi in contemporanea. Ma è anche sul versante terra che bisogna lavorare. La logistica è un’opportunità da cogliere, l’obiettivo è quello di servire e mettere in comunicazione il Mediterraneo e i mercati del centro – nord Europa”.

Con un occhio di riguardo alle maggiori responsabilità che il gigantismo navale presuppone. Un aspetto evidenziato  dal responsabile operativo di Rina Services, Michele Francioni, che si è soffermato principalmente sugli adeguamenti normativi e operativi introdotti dalle mega navi. A lui si deve la citazione che forse meglio sintetizza la discussione: “do exagerate but with balance”.