• 25 Novembre 2024 15:59

Seareporter.it

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Riscaldamento Globale, spiagge italiane a rischio.
Nel 2100 l’italia potrebbe perdere il 1.030,5 km di superficie (il 30%)

In pericolo ci sono anche litorali famosi come quelli di San Teodoro in Sardegna e di Lignano Sabbiadoro nella Laguna di Venezia. A Rimini la spiaggia potrebbe arretrare di 40 metri.

 Lo studio condotto dal Joint Research Centre della Commissione europea, con dati analizzati e rielaborati dall’Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa/Edjnet è diffuso oggi da Stopglobalwarming.eu, l’unica iniziativa già incardinata istituzionalmente, basata su un’idea di 27 premi Nobel, per fare pagare un prezzo minimo sulle emissioni di CO2 e contrastare i cambiamenti climatici e l’inquinamento.

Tassare le emissioni di Co2 per contrastare il riscaldamento globale, che tra le altre cose sta letteralmente divorando le spiagge europee e italiane. E’ la proposta (vedi APPROFONDIMENTO per il dettaglio) che dovrà essere discussa dalla Commissione Europea se sarà raggiunto 1 milione di firme di cittadini europei. Si chiamaStopglobalwarming.eu, ed è promossa da Marco Cappato (leader dell’Associazione Luca Coscioni e fondatore di EUMANS! Il movimento di cittadini europei attivo sulle principali tematiche legate alla sostenibilità), insieme a esperti come Alberto Majocchi (Professore Emerito di Scienza delle Finanze all’Università di Pavia) e Monica Frassoni (ex co-Presidente del Partito Verde Europeo). Per raggiungere il milione di firme c’è tempo fino al  20 gennaio 2021.

E proprio Stopglobalwarming.eu a diffondere oggi i dati di un’ inchiesta dell’European Data Journalism Network*

sull’erosione in corso relativa alle spiagge europee, nel mirino anch’esse dell’emergenza climatica. Infatti da qui al 2100 l’Italia potrebbe perdere ben 1.030,5 km (29,73%) di spiagge. Nel mondo, lo scenario peggiore si verificherebbe in Australia (14.849 km), Canada (14.425 km), Cile (6659 km), Messico (5488 km), Cina (5440 km), Stati Uniti (5530 km), Russia (4762 km) e Argentina (3739 km).

Tali modelli sono basati su uno scenario pessimistico e non tengono presente il grado di urbanizzazione della costa. Soffermandoci sul territorio italiano, sulle nostre coste l’erosione potrebbe distruggere completamente le spiagge di 109 municipalità su 584 (11%). Nel restante 74% delle municipalità l’assottigliamento della fascia di sabbia andrà da pochi centimetri fino a un livello critico.

Nella zona di Rimini, le spiagge arretrerebbero mediamente di 40 metri, ma in alcuni punti potrebbero sparire del tutto. A livello regionale, le municipalità sul litorale adriatico dove le spiagge andranno quasi sicuramente perse sono 3 su 7 (43%) in Friuli-Venezia Giulia, 5 su 12 (42%) in Veneto, 7 su 13 (54%) in Emilia Romagna,  4 su 25 (16%) nelle Marche, 5 su 16 (31%) in Abruzzo, 2 su 4 (50%) in Molise, 6 su 67 (9%) in Puglia, le municipalità minacciate sul litorale ionico sono 3 su 8 (38%) in Basilicata insieme a una parte delle 12 su 114 (11%) della Calabria, mentre quelle sul litorale tirrenico sono, oltre a quelle calabre, 4 su 42 (10%) in Campania, 6 su 23 (26%) nel Lazio, 5 su 33 (15%) in Toscana e 3 su 47 (6%) in Liguria. In Sicilia e Sardegna, le municipalità con spiagge destinate a svanire nel nulla sono rispettivamente 20 su 111 (18%) e 24 su 62 (19%).

“Nonostante gli appelli di Greta Thunberg, l’azione dei Fridays for future e i solenni impegni internazionali – ha dichiarato Marco Cappato – la politica europea latita nell’offrire risposte concrete in grado di contrastare l’emergenza. La Commissione europea ha espresso la volontà di agire, ma le resistenze degli Stati nazionali rischiano di vanificare ogni buona intenzione. Proprio per questo, apporre la firma su  www.stopglobalwarming.eu, significa sostenere l’unica iniziativa formale sul tema già incardinata istituzionalmente, in quanto si tratta di una ICE (Iniziativa dei Cittadini Europei che verrà obbligatoriamente discussa se raggiungerà il milione di forme necessarie come richiesto dalle leggi UE.”

*Inchiesta a cura di Stefano Valentino con elaborazione dati di Giorgio Comai su studio del Joint Research Centre della Commissione europea.

Oltre a Nobel e scienziati, in Italia, la proposta ha raccolto l’adesione di personalità del mondo della cultura e dello spettacolo come il climatologo L.Mercalli, G. Salvatores, O.Toscani, G.Muccino, Pif, Fedez, T.Gelisio, M.Maionchi, G.Covatta N. Zilli, N.Marcorè, G.Innocenzi, C.Capotondi, G.Covatta, G.Muccino, Arisa, Pif, P.Pardo, S. Cammariere e R. Casale, gli imprenditori I. Venturini Fendi e A. Illy..

METODOLOGIA
Lo studio quantifica l’erosione netta delle spiagge combinando tre fattori: oltre all’innalzamento del livello del mare dovuto al cambiamento climatico, si tiene conto anche dell’intensificazione delle tempeste e degli sbarramenti eretti dall’uomo lungo i litorali (come edifici, strade, dighe) che hanno drasticamente ridotto il naturale apporto di materiali di reintegro delle spiagge sabbiose. Lo studio prende in considerazione anche l’apporto di detriti lungo i fiumi dovuto ad attività umane o cause naturali che, insieme all’innalzamento del terreno, possono in alcuni casi compensano l’avanzata delle acque, comportando un’espansione delle spiagge anziché una loro ritirata. I ricercatori hanno tracciato previsioni diverse a seconda degli scenari climatici (alto e basso livello di emissioni di gas a effetto serra) e dei periodi temporali (2050 e 2100). Maggiore è la quantità di gas serra emessi dalle economie globali, maggiore sarà il loro contributo al riscaldamento globale e quindi l’innalzamento dei mari (attraverso l’espansione termica e lo scioglimento dei ghiacci).

I dati generati dai ricercatori quantificano la retrocessione teorica del litorale sabbioso che si verificherebbe qualora nell’entroterra non ci fossero barriere fisiche capaci di arrestare il mare. Pertanto, alcune misure risultano eccessive. Per permettere una lettura più realistica dei dati, nella tabella e nelle mappe abbiamo preferito raggruppare le spiagge in tre diverse categorie, corrispondenti ad altrettanti indici di rischio: erosione tra zero e livello critico (fino a 100 metri di erosione), spiaggia molto probabilmente persa (oltre i 100 metri di erosione), espansione costiera (sopra i 0 metri). Sia la tabella che le mappe si riferiscono allo scenario climatico più pessimistico, con il maggior innalzamento del livello del mare, nel periodo fino al 2100.

❖       LE 20 SPIAGGE ITALIANE PIÙ’ A RISCHIO ( CLASSIFICA COMPLESSIVA IN ALLEGATO)

Erosione teorica (metri) Indice di rischio Municipalità Provincia Regione
-736,942 Spiaggia molto probabilmente persa Ariano nel Polesine Rovigo Veneto
-642,0688889 Spiaggia molto probabilmente persa San Teodoro Olbia-Tempio Sardegna
-473,4035 Spiaggia molto probabilmente persa Codigoro Ferrara Emilia-Romagna
-427,425 Spiaggia molto probabilmente persa San Giovanni Suergiu Carbonia-Iglesias Sardegna
-402,17 Spiaggia molto probabilmente persa Rotondella Matera Basilicata
-328,6644841 Spiaggia molto probabilmente persa Porto Tolle Rovigo Veneto
-296,7469966 Spiaggia molto probabilmente persa San Michele al Tagliamento Venezia Veneto
-260,14 Spiaggia molto probabilmente persa San Dorligo della Valle-Dolina Trieste Friuli-Venezia Giulia
-251,015 Spiaggia molto probabilmente persa Masainas Carbonia-Iglesias Sardegna
-246,3828571 Spiaggia molto probabilmente persa Arborea Oristano Sardegna
-229,308 Spiaggia molto probabilmente persa Isca sullo Ionio Catanzaro Calabria
-222,7016563 Spiaggia molto probabilmente persa Orosei Nuoro Sardegna
-221,55 Spiaggia molto probabilmente persa Girasole Ogliastra Sardegna
-219,34 Spiaggia molto probabilmente persa Belcastro Catanzaro Calabria
-215,830375 Spiaggia molto probabilmente persa Sant’Antioco Carbonia-Iglesias Sardegna
-213,6058333 Spiaggia molto probabilmente persa Crucoli Crotone Calabria
-212,9222653 Spiaggia molto probabilmente persa Comacchio Ravenna Emilia-Romagna
-203,6026667 Spiaggia molto probabilmente persa Butera Caltanissetta Sicilia
-201,47 Spiaggia molto probabilmente persa Santa Giusta Oristano Sardegna

 

  • APPROFONDIMENTO: STOPGLOBALWARMING NEL DETTAGLIO – DI ALBERTO MAJOCCHI Professore Emerito di Scienza delle Finanze all’Università di Pavia)

L’Iniziativa dei Cittadini Europei sul Carbon pricing

La proposta di un’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) sul Carbon pricing nasce dall’assenza di iniziative concrete per ridurre le emissioni di CO2. In letteratura, l’imposizione di un prezzo sul carbonio viene considerato lo strumento migliore per compensare i danni generato dalle emissioni di anidride carbonica che derivano dalla combustione di combustibili fossili, e per frenare l’uso di fonti energetiche inquinanti.

Ma senza una spinta forte dell’opinione pubblica sembra difficile l’introduzione di un prezzo sul carbonio, che avrebbe un duplice effetto positivo: da un lato, promuovere il risparmio energetico attraverso un aumento del prezzo dei combustibili e, d’altro, favorire il fuel switching grazie a una variazione dei prezzi relativi fra combustibili fossili e energie rinnovabili.

La fissazione di un prezzo sul carbonio potrebbe altresì fornire una notevole ammontare di nuove entrate destinate a finanziare le spese che sono essenziali per la transizione ecologica e per sostenere una riforma fiscale che sposti l’onere della tassazione da un bene – il lavoro – a un male – l’emissione di gas ad effetto serra.

Le principali caratteristiche di un carbon pricing, ripresi nella proposta di ICE di stopglobalwarming.eu, possono essere sintetizzate nei termini seguenti:

a)  il prezzo imposto inizialmente deve essere sufficientemente elevato per dare un segnale al mercato e promuovere un progressivo cambiamento nella struttura dei consumi e dei metodi di produzione. Questo prezzo, che potrebbe essere fissato inizialmente a €50 per tonnellata di CO2 emessa, verrà poi gradualmente aumentato fino al livello necessario per avviare l’economia europea sul sentiero di un effettivo contenimento delle emissioni inquinanti (ad esempio, €100 entro cinque anni);

b) nel 2017 le emissioni di CO2 nei settori non inclusi nel sistema dell’ETS ammontavano a 2.252,2 milioni di tonnellate. Il carbon dividend ammonterebbe quindi, inizialmente, a circa 112,6 miliardi di euro. A queste entrate si aggiungerebbero anche i proventi della vendita all’asta dei permessi di emissione nell’ambito dell’Emissions Trading System (ETS). Dato che in questo settore le emissioni ammontano a 1.718,1 milioni, se il prezzo imposto sul carbonio viene adottato come floor price per la vendita all’asta dei permessi di emissione, il cui prezzo non potrà quindi scendere al di sotto di € 50, le entrate derivanti dalla vendita all’asta potrebbero raggiungere 85,9 miliardi;

c) il carbon dividend potrebbe essere utilizzato per avviare una riforma fiscale che miri a garantire una redistribuzione a favore delle classi di reddito più disagiate, per contrastare gli effetti regressivi di un’imposta sull’energia e per combattere le diseguaglianze generate dal processo di globalizzazione e, al contempo, per garantire una transizione ecologica economicamente efficiente e socialmente sostenibile, con il sostegno alla produzione di energia rinnovabile – già favorita dal differenziale negativo di prezzo a sfavore delle energie tradizionali – e di garantire la creazione delle infrastrutture necessarie per la produzione e il trasporto delle energie rinnovabili;

d) infine, il carbon pricing europeo dovrebbe essere accompagnato dall’imposizione di un diritto compensativo alla frontiera (un Border Carbon Adjustnment – BCA), prelevato sull’importazione nel territorio dell’Unione di merci provenienti da paesi che non impongano un prezzo sul carbonio. Questo diritto compensativo potrebbe fornire entrate addizionali, che affluiranno direttamente al bilancio europeo come risorse proprie in quanto diritti doganali, senza dover ricorrere alla procedura prevista dall’Articolo 311 TFUE. In questo modo verrebbe garantita la competitività delle imprese europee ed evitato il rischio di rilocalizzazione all’estero delle emissioni di carbonio. Sulla base di dati Eurostat, nel 2018 le emissioni di CO2 legate alle importazioni sono state di 437 milioni di tCO2.

Un BCA da 50 tCO2 su tutte le importazioni produrrebbe quindi un gettito di quasi 22 miliardi di euro. Con queste entrate si potrebbe raggiungere un totale di circa €220,5 miliardi.

La presentazione al Parlamento europeo del Recovery Plan da parte della Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, incentrato su un nuovo strumento denominato Next Generation EU, introduce nel panorama politico europeo una serie di elementi di grande rilievo. In primo luogo, cade nell’Unione il divieto di ricorrere all’emissione di titoli per finanziare la spesa di investimento.

L’emissione di titoli garantiti dal bilancio dell’Unione, e non dai singoli Stati membri,  mette in campo la necessità di disporre di nuove risorse proprie per finanziare il bilancio europeo senza richiedere contributi addizionali agli Stati membri, dando così vita a un embrione di una finanza federale europea. E’ questa l’occasione per rilanciare l’idea di fissare un prezzo sul carbonio anche nei settori non inclusi nell’ETS, le cui emissioni ammontano al 57% del totale. Ma di questa possibilità non si parla nel documento della Commissione, ed è quindi importante che vi sia una spinta da parte dell’opinione pubblica – anche in occasione della Giornata mondiale dell’Ambiente del 5 giugno prossimo -, con la sottoscrizione dell’ICE sul carbon pricing.

Il momento è favorevole, sia dal punto di vista economico, dato che il prezzo del petrolio è molto contenuto, per cui i consumatori sarebbero in grado di assorbire senza traumi  l’aumento di 11 cents nel prezzo della benzina che sarebbe legato a un carbon price di €50/tCO2, sia dal punto di vista politico, per la posizione della Commissione sostenuta da una larga maggioranza di Stati membri che mette il Green Deal al centro del piano di rilancio dell’economia europea. Con la fissazione di un prezzo sul carbonio si potrebbe quindi raggiungere un duplice obiettivo: ridurre le emissioni climalteranti e fare un passo avanti verso una fiscalità autonoma a livello europeo. 

Eumans
Eumans è un movimento paneuropeo di cittadini che, attraverso gli strumenti della democrazia partecipativa, mirano a raggiungere gli obiettivi Onu sullo sviluppo sostenibile, rafforzando la qualità della vita, dell’ecosistema e della democrazia in Europa. Eumans è stato fondato nel 2019, come gruppo di attivisti e volontari, da Marco Cappato, ex deputato europeo (1999 – 2009), leader non violento per i diritti civili con l’Associazione Luca Coscioni, di cui è tesoriere, e Science for Democracy. Eumans collabora con cittadini e associazioni di tutta Europa per rafforzare l’impatto degli strumenti di democrazia partecipativa, verso il raggiungimento di obiettivi politici transnazionali. Per saperne di più: www.eumans.eu.